J.P. Bimeni discende dalla famiglia reale burundese ma già all’età di 15 anni è costretto a fuggire dal suo paese allo scoppio della guerra civile, sopravvivendo miracolosamente a ben due attentati. Si rifugia nel Regno Unito e dopo qualche anno in Galles si stabilisce a Londra, dove abbraccia le infinite possibilità musicali che la città offre: jam session con la band di Roots Manuva, serate open mic insieme ai Noisettes e un incontro con una Adele all'epoca adolescente.
Il fatto che, come migrante, abbia vissuto un’esistenza fuori dall’ordinario e viva per raccontare questa storia rende le sue canzoni ancor più cariche di significato: «Quando mi trovavo sospeso tra la vita e la morte, dopo che mi spararono, chiamarono un prete per darmi l’estrema unzione – ricorda J.P. Bimeni – Ho guardato il prete e ho detto ‘Sento che non morirò. Sento che vivrò a lungo, conoscerò il mondo e proverò a me stesso che il mondo non è soltanto odio e violenza’».
A portarlo verso la strada che ancora oggi sta percorrendo è stato l’invito, nel 2013, ad unirsi alla tribute band ufficiale di Otis Redding. Partecipando, nel 2017, come ospite del gruppo funk Speedometer ad uno show in Spagna viene notato dalla Tucxtone Records che lo mette subito sotto contratto e dà inizio al suo progetto insieme ai The Black Belts la sua attuale band.
“Free Me” è deep soul all’ennesima potenza in cui risuona l’anima dell’Africa: le sue canzoni ci parlano di amore e perdita, speranza e paura, con la consapevolezza tipica delle vite messe innumerevoli volte alla prova. Alle jam funk si susseguono profonde ed accorate ballad provenienti dal southern soul, con un’atmosfera unica presente in tutto questo capolavoro, grazie a quel suo edificante stile africano. Che si tratti del funk di “Honesty”, della ribelle ed ispirata “Fade Away” o della commovente “I Miss You”, in ogni situazione J.P. Bimeni dimostra una incredibile profondità con la sua estensione vocale.