John Garcia: un nome arcinoto a chi faccia dello stoner rock una ragione di vita. Chiunque ami quel suono, allo stesso tempo, pesante, minimale e desertico inventato da Josh Homme più di vent'anni fa, non potrà non riconoscere nel cantante di San Manuel LA voce per antonomasia di questo genere, con quell'afflato rabbioso e inconfondibile che da sempre caratterizza il suo stile. Garcia non è, ad ogni modo, un mero interprete (pur d'eccellenza), come dimostrano i numerosi progetti portati avanti negli anni post-Kyuss, dagli Slo Burn agli Unida, passando per gli Hermano fino a giungere ai Vista Chino; Garcia è un artista coerente e fortemente ancorato ad una scena e ad un suono di cui la sua voce rappresenta tuttora l'ideale completamento. Non stupisce, dunque, che dopo gli ottimi risultati di critica e di pubblico raggiunti da “Peace” e nonostante i ventiquattro anni di distanza dal debutto discografico (“Sons Of Kyuss”, 1990), abbia deciso di cimentarsi con la prima release in solitaria della sua carriera. “John Garcia” è l'eloquente titolo di un album in cui lo stoner rock si fonde con la psichedelia più morbida e sinuosa, sfumandone i contorni e abbassando il voltaggio; il risultato si riflette in un affresco sonoro dai tratti fortemente anni '70 e con più di un accento di matrice Doors/Cult. Il terzetto d'apertura è di rilievo assoluto: riff catchy, ritmiche coinvolgenti e melodie indovinate, intonate alla grande dall'inconfondibile voce del cantante statunitense. È, tuttavia, con la successiva “The Blvd”, il suo andamento compassato al limite del blues e l'atmosfera sognante che raggiungiamo il vertice assoluto in scaletta: davvero difficile fare di meglio. “5000 Miles” continua a viaggiare sulle coordinate dei quattro pezzi iniziali, ma la seconda parte dell'album appare un po' meno convincente della prima. “Confusion”, con i suoi 3 minuti e 40 secondi di distorsioni ronzanti e versi abbozzati, più che dare slancio alla tracklist, ottiene l'effetto opposto di ingolfare l'ascolto, configurandosi come una vera e propria skip track. Non brillano in maniera particolare nemmeno la successive “His Bullets Energy” e “Argleben”: cariche e ossessive finché si vuole ma, alla lunga, un po' monotone. Per fortuna, con il terzetto di coda composto dalle più sostenute “Saddleback e “All These Walls” e dalla conclusiva “Her Bullets Energy” (una ballata elettroacustica tenue ed accorata, valorizzata dall'ispirato contributo del mitico Robbie Krieger alla chitarre), il livello risale di parecchio, pur senza raggiungere il livello degli episodi migliori. Ci sono delle buone idee, alcuni picchi di livello notevole (“My Mind”, la riuscita cover “Rolling Stoned”, “Flower” e “The Blvd” in particolare) e varie “ospitate” d'eccezione nel debutto solista di John Garcia (oltre al citato ex-Doors, hanno dato il loro contributo anche Danko Jones, David Angstrom e Nick Oliveri), eppure il derby lo vincono i Vista Chino. “Peace” era un album qualitativamente più omogeneo e, seppur maggiormente debitore al sound dei Kyuss, più potente in termini emotivi; “John Garcia” risulta, ad ogni modo, essere un ulteriore (e tutt'altro che spiacevole) tassello nella discografia di un'artista che, dopo oltre vent'anni di carriera, continua a dimostrare di avere ancora qualcosa da dire.