I Sad Lovers & Giants sono stati una band seminale negli anni ’80 e, nel panorama postpunk, hanno avuto un ruolo influente per il loro sound assolutamente personale, ricco di echi psichedelici o gotici: atmosfere malinconicamente raffinate, lineari paesaggi inglesi dai colori lividi, ravvivati molto spesso dagli interventi di un bellissimo sax che ha sempre reso la loro musica inconfondibile, i Sad Lovers & Giants hanno lasciato per così dire il segno. La loro attività è proseguita – sempre più che dignitosamente – nel corso del tempo, anche quando, come doveva accadere, la fortuna è diminuita. Ma lo scorso 31 ottobre, i nostri hanno pubblicato Mission Creep, un album talmente bello da emozionare anche chi si è limitato, finora, a custodire il ricordo dei successi più famosi. L’attuale formazione include i cantanti/chitarristi Garçe Allard e Tony McGuiness, il bassista Ian Gibson, il tastierista Will Hicks e il batterista Nigel Pollard: le atmosfere sono le loro, ovviamente, ma l’elemento malinconico e le tinte ‘gotiche’ appaiono accentuati e anche il suono del sax, che aveva di solito un ruolo ‘rinvigorente’,si inserisce qui perfettamente nei contesti più scuri e romantici creati dai nostri; in qualche brano si riconosce una vicinanza alla formula di Morrissey, magari più che in passato. Apre la splendida strumentale “Cranes” con suoni cupissimi e struggenti arpeggi: scenario indiscutibilmente fosco, dal sapore fresco e moderno. Subito dopo, “Biblical Crows” è uno degli episodi migliori, con seducente chitarra wave in primo piano, sax ottimamente collocato e intensa parte vocale: un piccolo gioiello senza tempo come del resto la seguente “Beauty is Truth”: entrambe le tracce erano già presenti nel box set uscito nel 2017 Where The Light Shines Through 1981-2017. “Uncharted Islands” è la new wave come l’abbiamo sempre amata e “Paradise” uscita come singolo mostra che la band se la cava bene anche con ritmi più vivaci, mantenendo comunque colori decisamente oscuri; “Siren” opta per sonorità evocative e romanticheggianti fra aggraziati arpeggi e morbide trame sintetiche. Poi, superata l’attitudine gotica e un po’ sinistra della strumentale “Witches”, troviamo quegli episodi che, come si diceva poc’anzi, hanno fatto pensare ad un’affinità con Morrissey, soprattutto “Failed Love Song”, “A Silent Decay”, mentre la conclusiva “Blood from a Stone” chiude l’album con toccanti, intensissime note di piano che non si finirebbe mai di ascoltare…