Shabaka & The Ancestors pubblicano il loro secondo album We Are Sent Here By History, marcando il debutto su etichetta Impulse! Il loro primo e fortunato lavoro, Wisdom of Elders, ha conquistato a Shabaka & The Ancestors un posto di rilievo nel jazz di ispirazione spirituale. Ma mentre quell’album metteva in guardia contro un incombente collasso della società, questo nuovo progetto lascia intravvedere una nuova prospettiva. Shabaka si riferisce all’album come ad una “meditazione sulla prossima estinzione della nostra specie come dato di fatto: è una riflessione dalle rovine fumanti”. Nel brano di punta single “Go My Heart, Go To Heaven,” Siyabonga tributa un omaggio alla canzone da chiesa preferita da suo padre. La parola “hamba” (=“vai”) viene più volte ripetuta, e nel contesto di questo brano sta a indicare “il momento in cui l’individuo si arrende, e desidera accomiatarsi da questo mondo” dice Siyabonga “Ma in tempi di oscurità, è un appello alla luce e al cuore“.
Shabaka & The Ancestors si sono formati nel 2016. Shabaka si era recato a Johannesburg per suonare con il trombettista (e bandleader) Mandla Mlangeni, che lo mise in contatto con un gruppo di musicisti jazz sudafricani che Shabaka ammirava. Dopo alcune sedute, il loro primo album Wisdom of Elders era pronto. Questo nuovo disco vi fa seguito, ed ha visto il gruppo riunirsi per incidere a Johannesburg e Città del Capo l’anno scorso. È un album ancora più urgente, inesorabile, pervaso da una cupa energia, e trasmette un messaggio sociale di grande rilevo con modalità di trasmissione attinte dalla tradizione più antica. Shabaka spiega che è “ciò che accade dal momento in cui la vita come noi la conosciamo non può più continuare.”
We Are Sent Here By History unisce le tradizioni africane e afrocaraibiche. L’album si appropria della tradizione del griot – la figura del cantastorie depositario di una ricca tradizione narrativa e interpretativa – e viene quindi proposto come moderno griot dei nostri giorni. Per questo motivo, è fondamentale il ruolo rivestito dai testi, opera dell’artista Siyabonga Mthembu, che li canta e declama lungo il fluire dell’album. Shabaka ha quindi nominato i brani ispirandosi ai testi, sui quali ha creato il poema sonoro. In “We Will Work (On Redefining Manhood)” – dal titolo significativo – Siyabonga canta una poesia in Zulu che rifiuta gli arcaici pilastri della virilità. A partire dall’infanzia, i ragazzini sono allenati a sopprimere le proprie emozioni ed a soffrire in silenzio. “Questa canzone parte proprio dal punto di questa virilità tossica” dice Siyabonga “Ripete le istruzioni che vengono dette ai ragazzi – non piangere, non addolorarti, non lasciarti ferire.”