In effetti, nell'ora di durata dell'album, è proprio “naturalezza” il termine che meglio descrive la collezione, la scioltezza con cui cumbia, afrobeat, jazz-house e quant'altro vengono rimasticati senza colpo ferire in un progredire che fa dei pattern di Roland e sintetizzatori il proprio perno ritmico e compositivo, escogitando una maniera del tutto diversa (se non nuova) di pensare l'acid-house e quanto le sta attorno.
L'utilizzo del comparto elettronico di certo è tra i più creativi in circolazione, forte di una capacità di adattamento che sa esaltare quanto altro avviene nei brani, senza alcuna smania di protagonismo. Tanta è la malleabilità che il duo sa applicare alle sue composizioni, che anche quando a prevalere è la natura più “organica” del suono (come nel tripudio di ottoni dell'introduttiva “The Awakening”), il contributo aggiuntivo sa fornire nuovi spunti di lettura, rintracciando commistioni insperate. Il caso della suddetta traccia d'apertura, capace di sposare suggestioni afro-jazz al tocco scarno e scheletrico del blues desertico (tradotto in cadenzate pulsazioni elettriche, come era lecito aspettarsi), è soltanto un breve assaggio delle potenzialità coordinative e d'assemblaggio del duo, che dalla sua vanta comunque un parco collaboratori di prim'ordine.