L’intenzione del collettivo norvegese è quella di proporre una versione atmosferica e ricca di contributi orchestrali al funeral death/doom metal, unendolo ad alcune ricercatezze sonore che a detta dei nostri si rifanno alla scena progressive. Posto che di “progressive” in questo album c’è veramente poco, se non lo sporadico ricorso al mellotron e al moog (ma si tratta di brevi sfumature), siamo costretti a ridimensionare l’enfatica presentazione specificando come il gruppo non faccia altro se non seguire il sentiero tracciato anni fa dai padri britannici, con una particolare vicinanza all’alone melodico e decadente dei My Dying Bride.
Tolto questo sassolino, dobbiamo comunque riconoscere come “A Winter’s Tale” sia un album assolutamente funzionale e creato con la dovuta competenza dagli esperti musicisti coinvolti. Certo non vi è nulla che si possa definire originale o fuori dagli schemi, ma non manca il buon gusto estetico e nemmeno la fiducia riposta nel progetto, palpabile durante l’ascolto.
“A Winter’s Tale” raccoglie quattro tracce romantiche e dal grande impatto drammatico rafforzato dalle numerose orchestrazioni e parti strumentali offerte dal contrabbasso di Memnock e dalle tastiere di Andrè, entrambi autori di passaggi intensi e adatti al contesto. Seguendo i crismi del genere, la durata dei brani è naturalmente lunga (la titletrack sfiora i 28 minuti), i suoni sono lenti e diluiti mentre un angolo death emerge dalle growling vocals cavernose e dalle chitarre taglienti, contro-altare delle abbondanti dosi di melodia di cui è irrorato il lavoro.