Nonostante le evidenti somiglianze, il nuovo disco dei Babalis padre e figlio, ancora una volta edito sotto l'egida della nostrana Heavy Psych Sounds Records, va considerato alla stregua di un sequel cupo e minaccioso, nel quale i riferimenti a pioggia agli
Electric Wizard, ai Kyuss, agli
Sleep e soprattutto ai
Black Sabbath, dominano i brani senza, però, soffocarli troppo.
Che le influenze del passato abbiano comunque un certo peso nell'economia dello stile dei greci, ce ne accorgiamo sin dal brano iniziale, "Berserker", aperto da una risata satanica in odore "Sweet Leaf" (o "The Writ" se preferite); soltanto un breve assaggio, dal refrain estremamente orecchiabile, di quello che sarà il resto dell'album, gravido di pezzi tumidi e visionari. "Psychedelic Wasteland" e "Ivory Towers", cavalcate lisergiche alimentate da motori fuzz, preparano a loro volta il campo alla pantagruelica title track: la lenta introduzione dronica, il bridge guidato da un basso supereffettato, il riff centrale dall'irresistibile carica groovy, il lungo finale acido, sembrano davvero riprodurre il percorso di una carovana nomade tra le luci accecanti del deserto, con la voce ozzyana di Babalis junior a menare occulta le danze. La chiusa "Black Dust" può considerarsi una dilatazione desert/space della traccia precedente, capace di teletrasportare gli enormi pachidermi preistorici oltre i limiti conosciuti del cosmo.