Arrangiate in modo essenziale (chitarra acustica, sezione ritmica e archi), le nove canzoni di Engine of Paradise affrontano, rispetto al fumetto, temi più personali, anche se il discorso tra il soggetto e il mondo risulta differente, la contemporaneità è al centro di entrambi (vedi «I just freeze my love because technology is changin’ me» dal singolo Freeze My Love). Con uno stile folk-pop che rievoca l’innocenza degli anni ’50 e ’60 ma col consueto retrogusto amaro dietro al sorriso di lieve follia che gli è tipico, Green è meno frizzante dei vicini Vampire Weekend anche per questioni di timbro vocale: nell’equilibrio tra bizzarria e profondità, Konig mette l’accento sull’elemento follia mentre lui è più suadente e confidenziale e sposta il peso di due grammi verso la malinconia. Sempre a proposito di dischi usciti quest’anno, anche l’ultimo Springsteen si affida agli archi per i suoi recenti canti di disillusione e amarezza ma con una spaziosità cinematografica che all’ex-Moldy Peaches manca.