“After Crash is about love and friendship”. Così Francesco Cassino e Nicola Nesi, da Bologna, sintetizzano la propria band e la propria musica, e non è difficile immaginare il perché: #Lostmemories, il loro esordio, sembra voler urlare tutta la vita e tutto il presente che c’è dentro queste nove tracce. E senza bisogno di troppe parole. Sono inni all’esistenza, a tutto ciò che accade, alle separazioni e agli errori, al talento e alla magia di fare musica. Come We Leave, apertura e pezzo-anthem à la M83, che fa venire una voglia irrefrenabile di alzarsi e fare qualcosa, di non perdere un minuto, scegliere un aereo a caso, ritrovarsi a New York a guardare le luci frenetiche della città. O magari a Londra, luogo che nel percorso musicale ed umano degli After Crash ha avuto importanza tanto quanto Bologna - leggasi per entrambi triennale in composizione e produzione di musica applicata all’University of Hertfordshire e master alla Goldsmiths, University of London. Folgorati nell’adolescenza da “Ok Computer”, cominciano una ricerca musicale totalizzante, mischiando elettronica e acustica, componendo colonne sonore, accompagnamenti per spettacoli teatrali, pubblicità. L’ampiezza del territorio in cui sanno muoversi con disinvoltura è sterminata, così come la capacità di fare propri tutti gli stimoli con i quali vengono a contatto. Portandosi sempre dentro la raffinatezza dei Telefon Tel Aviv, giocano con tante identità: immagazzinano Jon Hopkins nei momenti più battuti (Overrated, Timeless Room), poi rallentano per prendere a braccetto James Blake (Leica).
Sfoggiano contaminazioni ambient degne di Nils Frahm (Delplace), introducendole con il monologo dello Steiner/Alain Cuny ne La Dolce Vita, quando ricorda che “è la pace che mi fa paura. Temo la pace più di ogni altra cosa: mi sembra che sia soltanto un’apparenza, e che nasconda l’inferno”. La pace è stasi, quindi meglio non adagiarsi troppo, meglio stravolgere e trasformarsi ancora: diventando per quattro minuti una band post-rock (Texture in Pectore), dei compositori sopraffini di pezzi pop (Don’t Change For Me), o dimostrando di sapersi difendere bene anche nel tenere una pista da ballo (la finale Transports). Infiniti spunti, riuniti sotto il filtro del ricordo, come il titolo dell’album. Nessuna nostalgia, ma un post-it per il futuro che è già presente e va vissuto al meglio. Con un titolo che cita l’hashtag ufficiale della settima edizione del roBOt Festival, la cui partecipazione è stata una presa di coscienza importante nel percorso che ha portato alla stesura di questo disco. Disco che è passato attraverso le sapienti mani di Andrea Sologni (Gazebo Penguins) per la registrazione e il missaggio nel suo Igloo Audio Factory, con il mastering finale al Calyx Studio di Berlino. E in tutti i trentacinque minuti di musica, c’è una caratteristica che emerge chiara e forte: l’eleganza che Francesco e Nicola hanno saputo mettere in ogni brano, in ogni scelta. Non c’è elemento che stoni, non un’aggiunta di troppo, o un pezzo al posto sbagliato. Sanno essere sofisticati e leggeri, sanno accelerare e prendersi delle pause, sanno cosa va fatto in ogni momento. Non sono doti da poco, figlie dell’abnegazione e dell’esperienza (nonostante sia un esordio), ma soprattutto della propria bravura e del proprio gusto. Sono cose preziose che rispondono al nome di talenti, e che vanno sì coltivate ogni santo giorno, ma che sono innate. E soprattutto, come tutte le cose preziose, con il tempo non potranno far altro che aumentare di valore.