L'evoluzione degli Altar of Plagues ha sempre seguito un percorso intimo e personale, il quale si è distinto fin da subito nel mondo delle più disparate blackmetal band, ma non solo. La varietà di punti in comune con altri stili musicali e/o luoghi d'appartenenza (la chiara matrice post-hardcore di White Tomb, le atmosfere più dilatate e post-rock di Tides e Sol per poi giungere agli elementi più sludge, doom ma anche più puramente blackmetal di Mammal) hanno composto da sempre una costellazione omogenea e invidiabile. Ogni album del nostro combo irlandese ha una sua perfetta genesi e cresce in modo ordinato e naturale; la compattezza degli EP Sol e Tides era giocata sulle atmosfere rarefatte del primo in confronto alla violenza del secondo, aggressività data dalle potenti distorsioni chitarristiche. Con Mammal si era di fronte ad una specie di sintesi fra atmosfera e violenza mentre con l'ultimo split assieme agli Year of no Light si poteva sentire che qualcosa stava cambiando. Cambiava sostanzialmente la forma; mentre in quella lunga traccia si potevano udire le melodie più ariose e spensierate composte dalla nostra band, la seconda metà del brano acquisiva una consistenza ambigua e straniante; la batteira si ripeteva in modo seriale e le distorsioni delle sei-corde avevano un non so che di macchinoso e meccanico; il finale andava ricordando quanto più di estremo e sperimentale si poteva udire nei lavori dei Blut Aus Nord (soprattutto The Work..., mOrt e Odinist). https://www.facebook.com/altarofplagues/timeline