Apice è l’odore di sale che si incolla alla pelle e ti lascia l’ultimo profumo d’estate nelle fresche sere di settembre, quando il mare saluta gli ultimi bagnanti e l’acqua si fa più scura.
È l’eco di un disco di cent’anni fa, di cui non ricordi il nome ma non dimentichi la voce. È il sussurrare piano di una città appesa al filo della propria insicurezza in cerca di domande che siano risposte, è il dito che collega i nei della tua schiena in mille galassie di stelle, di dubbi, di vent’anni.
Apice è la sua voce e gli ottantotto tasti di una tastiera, in mezzo ai quali il bel tempo sta per arrivare, prima che scenda la sera.