Alfonso Surace, calabrese, anagramma per la prima volta il suo nome in Arcane Of Souls per “Vivo e vegeto” (2012), una collezione che esprime le sue doti e il suo approccio obliquo. Gli arrangiamenti, notevoli quelli a base di archi, superano spesso le canzoni per cui sono pensati, che invece hanno un’andatura Beatles-iana e rilassata.
Ma con “Ceneré”, il seguito, Surace fa diventare forte e chiassoso il sound, a iniziare proprio dalla sua voce strillante, e aggiunge una spinta rock’n’roll nel boogie martellante, a tratti anche cacofonico, di “L’oro in bocca”. La fanfara ska di “Sintomatico” suona come un Rino Gaetano sconsideratamente sopra le righe.
“Gennaro” e altre sono ancora zavorrate delle pose in stile George Harrison del disco precedente, ma almeno l’autocommiserazione di “Lunatico romantico stomp”, “Disperato erotico stomp” di Lucio Dalla per l’era della crisi economica, è rimbombante e hard-rock.
Astutamente poi l’autore piazza tra amene ballate folk classicheggianti, all’inizio, “Maggio”, una disperata dedica, a metà, una “Respirare” tanto sostenuta quanto elegante (un Donovan sottovoce), e come gran finale, il quasi-salmo “Opera”.
E’ un cantautore colto in una verace, divertente transizione. I tempi giusti e una buona mistura d’ingredienti, registri di suppliche, sermoni arringanti e novelle gli consentono un confronto serrato con la quotidianità. E arrangiamenti tra i più cangianti, progettati e registrati dal solo Surace in casa, aiutato tra gli altri da una tabla (Aninder Baryah), violini e piano (Francesca Arancio), e una piccola sezione fiati (Paolo Ferri, tromba, e Stefano Donadoni, tuba).