PHAROAH SANDERS "Save Our Children" Pioniere dell'ibrido multiculturale, Pharoah Sanders non è stato solo l'alter ego di un genio come John Coltrane, ma dopo la morte del maestro nel 1987 ha continuato con alterna fortuna il viaggio in un mondo musicale sempre più aperto alle contaminazioni tra generi. In natura la voce del suo sassofono tenore ruggisce, grufola, sembra l'abrasivo risveglio di un vulcano a lungo addormentato. Era questo suono barbaro, graffiante, che incantò Coltrane e ispirò Gato Barbieri agli inizi. Una forza seducente della natura. Ma se le apparizioni dal vivo di Sanders sono sempre ruvide ed a volte emozionanti, i dischi suonano spesso ambigui e contraddittori. O troppo anarcoidi, senza il tocco di un produttore che sappia valorizzare il suo enorme talento, come succede con certe etichette indipendenti. Oppure iperprodotti, col suono del sax limato ed edulcorato per le orecchie dei pop-fans dai gusti esotici, il secondo album per la Verve, prodotto con impeccabile eleganza da Bill Laswell, appartiene alla seconda categoria. Il contesto è molto vario etnicamente, con echi afro-arabomediorientali. Come i musicisti scelti per l'occasione, dal jazz al funk e alla world più meticcia: i percussionisti indiani Trilok Gurtu e Zakir Hussain, le voci di Abiodum Oyewole e Asante, le tastiere dell'ex funkadelico Bernie Worrell e altri dello stesso livello. L'effetto è ipnotico e molto gradevole, con i sassofoni del mitico Pharoah lucidati a nuovo come l'ultimo dei californiani di studio. Un Sanders forse troppo rassicurante e melodico per essere vero.