l’Arte non necessita del soldo a tutti i costi. “Long Long Road” è un titolo che descrive perfettamente il percorso browniano, e assieme al collaboratore di lunga data Rik Patten Arthur decide di percorrerlo tutto a perdifiato. Rituali psichedelici di uno sciamano che ancora brucia di un incendio appiccato troppo tempo fa ma ancora potente, potente come non mai, i brani si perdono nei labirinti di un mondo che non esiste più; l’elettricità è complice del legno, nastri che si sfasciano ed esplodono sotto a tappeti blues che evocano illusioni sostenute da una voce che pare uscita dalla catacomba più fredda e umida e che ancora sa frantumarne le pareti frase dopo frase, strofa su strofa, come una macchina calibrata per non essere giusta mai.Il rock che sanguina, il punk preso di striscio a badilate risultando post, svisate psychiche che balzano fuori dai peggiori anfratti, luci che si rifrangono su piani elettrici urlanti formule dimenticate che qui tornano a brillare di luce propria con un’energia che manco il più cazzuto e carico dei ventenni potrebbe mai. Questa l’alchimia di Arthur Brown.