Dannatamente introspettivo e malinconico, Hollow Ponds è il primo album del progetto solista di Dan Carvey, uno dei cinque membri degli Inglesi Dark Captain (light captain). Le cronache riportano che il disco sia stato pensato mentre Dan Carvey era ricoverato in attesa di essere operato per una grave frattura ad una gamba. Il caso a voluto che a pochi metri dall’ospedale, visibile quindi dalla sua finestra, sorgesse l’area di Hollow Pond, parte della foresta di Epping a non molti kilometri da Londra. Con i suoi laghetti e sua la vegetazione tipica dell’entroterra inglese Hollow Pond è stata una fonte d’ispirazione notevole per il povero Carvey. Dal tenore bucolico e a tratti poetico dell’album possiamo immaginare quali fantasie ed emozioni albergassero dentro il nostro in quei giorni di riposo forzato, di sicuro una forte inquietudine interiore ma anche, e sopratutto, una grande energia propositiva che è stata fondamentale per la realizzazione dell’album. L’atmosfera Inglese, sempre molto suggestiva, è dunque ben rappresentata. Le sonorità risultano infatti rarefatte e al tempo stesso imponenti come la nebbia che coglie impreparati al mattino nei primi giorni d’autunno. L’album parte con la bellissima Skydive, nella quale chitarrine acustiche appena pizzicate e percussioni sommesse danno vita ad un pezzo particolarmente ispirato. Nell’album sono presenti diverse anime come quella onirica, dal finale ripetitivo e ossessivo, di Everything’s a system, everything’s a sign degna dei migliori Midlake, a quella più acustica e delicata, grazie anche all’utilizzo di archi e fiati, di Flame Exchange, a mio avviso tra i pezzi più riusciti dell’album, per passare ad altre più post-rock come Vampires e Try to put it out of your mind o la psichedelica con venature di rock progressivo Openside. Un altro pezzo interessante che da anche il nome all’album è Hollow Ponds, lenta ballata sommessa ed intimista che fin dai primi ascolti mi ha ricordato un grande songwriter americano, Jason Molina, prematuramente scomparso all’età di 39 anni che con i suoi Songs:Ohia, ma anche con i Magnolia Eletric Co., ha segnato in modo indelebile il cantautorato americano grazie alla sua profonda e genuina sensibilità. In tutte le tracce la voce di Dan Carvey risulta candida e sussurrata riuscendo a combinarsi perfettamente con l’incedere malinconico dell’album. Alla sua realizzazione ha contribuito anche un altro membro dei Dark Captain, Mike Cranny, dando vita ad un intenso lavoro dai tratti folk e cantautorali . L’album inizialmente potrà apparire un pò monocorde, con poche variazione, ma come il vino che migliora con il passare del tempo, allo stesso modo Hollow Ponds, ad ogni nuovo ascolto, riesce a far scorgere nuovi particolari, piccole sfaccettature capaci di emozionare e stupire tanto da farlo risultare complesso e ricercato nella sua semplicità. Una menzione a parte merita la “bella” copertina del disco che vede un camper abbandonato e diventato un tutt’uno con la vegetazione presente, in particolare un grande albero che ha perso quasi tutte le sue foglie oramai marroni (qualcuno potrebbe vederci un riferimento al film into the wild). Abbandono e desolazione emergono con forza dalla scena rappresentata. La presenza poi di una sedia e di un tavolino, anch’essi in stato di abbandono, rendono il tutto ancora più surreale e suggestivo. Hollow Ponds è un disco importante, perfetto per la stagione che sta arrivando, capace com’è di instillare la voglia di visitare luoghi magici e fiabeschi e capace, in particolar modo, di spingerci ad esplorare le parti più profonde della nostra anima (da qui forse l’idea di chiamare il progetto Astronauts?); occhio però a non farsi trasportare troppo perché il baratro è davvero ad un passo.