Nono album per gli Azaghal, gruppo black metal finlandese quantomai insolito.
Insolito perché, provando a cavalcare il loro iter storico, non si trova un filo conduttore.
Un sound che fa solco, che è impronta e tatuaggio della loro realtà.
Il black per antonomasia è caratterizzato da una serie di elementi che rimangono tali, che sono quasi una "garanzia" per chi ascolta. No?
Avanti, perché ci piace così tanto il black? Per il clima freddo che crea, per l'asprezza vocale, per le atmosfere lugubri e umide, per la violenza musicale, ecc…
Dei punti cardine, quindi.
Negli Azaghal è difficile trovarne.
Hanno un carattere capriccioso, scostante, a volte inconcludente.
Attenzione. Non ho detto che si tratti un mestiere fatto male, né che sia un prodotto scadente.
Li trovo troppo volubili.
Il sipario si apre con un'ondata irruente di prepotenza.
È un ottima premessa.
Peccato poi - a metà album - smorzare i toni (senza nemmeno averci chiesto parere…) in venature indolenti e rilassate.
Presi singolarmente i brani risultano piacevoli e di buona qualità.
Purtroppo un ascolto globale non definisce la stessa apprezzabilità, dimostrandosi, al contrario, troppo diversificato e poco trascinante.
Come se la stesura delle stesse liriche fosse stata fatta in periodi lontani l'uno dall'altro - giustificabile.
Oppure, come se la stesura delle stesse liriche fosse stata fatta così come veniva, senza un impegno e dedizione - deprecabile.