Lo so, pochi li conosceranno. Anche io, in tutta onestà, non avevo una cultura approfondita a riguardo di questi quattro svedesi lungocriniti. Ebbene sì, siamo di nuovo al cospetto della Svezia terra dell'Ikea: ma che hanno da quelle parti, vaccinano i neonati con gli aghi dei tattoo per renderli rocker sin da subito? Magari avessimo una prolificità e una qualità dominante di gruppi come hanno loro, basterebbe anche solo un decimo. Beh, a scanso di equivoci, questo album “dei sogni da vivere” vi fornirà indiscutibilmente un compendio esauriente su questi glamster d'annata, capaci ancora oggi di darci dentro di brutto. I Bai Bang schitarrano sin dalla fine degli anni ottanta: il loro primo lavoro ufficiale, Enemy Lines risale al 1988, con una formazione che ha in comune con quella attuale solo il singer Diddi Kastenholt al microfono. Alti e bassi nel loro excursus, rimpasti di formazione fino alla fine degli anni novanta, poi l'elisir di lunga vita artistica si impossessa di loro e la fortuna gira per il verso giusto. Morale, incidono un paio di dischi che vengono notati e che fungono da vettore per spedirli dritti a suonare sui maggiori palchi in compagnia di band affermate come Union, Ratt, Dio, Alice Cooper, Thin Lizzy e Wishbone Ash, solo per indicarne alcuni. Insomma la stoffa c'è e, se vogliamo, la vicenda anche se con alcune varianti, può essere simile a quella dei loro conterranei scandinavi Wig Wam. Lungo peregrinare tra i meandri del rock duro, polvere e fango da masticare, e poi la luce. I Bai Bang non hanno ancora la reputazione da classifica dei loro colleghi, ma credo sia solo questione di –poco- tempo. Giungono, in ogni caso, da fragori suscitati tra Germania e Giappone, oltre che in Svezia e Norvegia, fino agli Stati Uniti, Russia ed Egitto grazie ad una serie di fortunati live-act. Il clamore però gli è totalmente mancato in Europa, teutonici mangiakartopfen esclusi, dove sono degli illustri sconosciuti, per varie cause: distribuzione lacunosa e carente, pochi concerti, battage promozionale inesistente. Beh, ritengo sia scoccata l'ora per rimediare a tutto ciò. Questo disco è davvero nitroglicerina nel genere, detona che è un piacere e cattura senza ruffianeria. Cori, scansioni armoniche, chitarre taglienti, voce grattugiosa, look da star, composizioni assimilabili e cantabili nell'immediato. Insomma il “bignami”del rock hard truccato e pieno di lustrini e colori che diverte e fa dimenare. Certo, gli alternativi che ricercano novità a tutti i costi con sprazzi di prog mischiato al jazz con punte di blues reinventato da echi del nuovo millennio, possono tranquillamente lasciarsi alle spalle questa band e le canzoni qui inserite, ma chi ama il genere troverà goduria allo spasimo. Lo si capisce sin dalla cover dove i quattro cavalieri del mascara troneggiano padroni di uno skyline cittadino, truci e convinti di impossessarsene senza trovare ostacoli. E la musica conferma il tutto. Lo si intende subito, dopo un minuto di We're United. La voce e i cori vi fanno volare radendo chitarre affilate come magli che colpiscono e lacerano senza pietà, incalzanti e rabbiosi. Livin' My Dream, irascibile nell'impatto e Come On, anthemica e cromata, fanno il verso ai Wig Wam in modo perentorio e sublime e i norvegesi dovranno guardarsi le spalle, credetemi. Ciò che spariglia le carte è la freschezza naturale che emanano queste tracce, la facilità nel concedere melodie che li innalzeranno nelle classifiche. Ottimo inizio. Rock On è ariosa con la voce raschiosa a fare da contrappunto, poi scoppia il ritornello e i brividi si erigono sugli avambracci: track micidiale che pesca anche nella cultura AOR americana dei giganti del genere: inutili citarli vero? Stay è un'altra track d'effetto, cori catchy come solo il Bon Jovi d'annata sapeva fare, con una chitarra che saccagna per bene, mentre la semiballad Gonna Have It All è l'unico mezzo passo falso e non convince più di tanto: song sbiadita. Tonight carica a molla l'ascoltatore, Diddi alla voce fa il domatore di chitarre e lo sviluppo, colmo di echi, sfocia in un chorus grandioso che fa trasalire: minchia che attributi sti Bai Bang! Rock It inaugura il triplete finale e lo fa con classe cristallina, acustica mista ad elettrica con basso e batteria sugli scudi, ritornello a metà tra Def Leppard e Black N' Blue, estremamente profondo e libidinoso; Die For You pennella hard/glam potente che parte in sordina trasformandosi in una hit sul ponte tibetano dell'inciso; registrazione e dinamiche perfette in tutto il timing del lavoro. Put On Her Dress chiude il platter con un riff class metal e vocals graffianti: la perfetta cerniera di un lavoro davvero supremo nella sua classificazione di specie. La ricetta vincente si evince dall'incrocio di hard rock, spunti glam inconfondibili e connotazioni AOR nel senso di fruibilità e altissima ricezione ed ascoltabilità della proposta, oltre ad un bel pedigree pronto per ricevere un massiccio airplay in radio. L'unico appunto negativo è lo sfruttamento di titoli classici, sentiti migliaia di volte: ecco almeno in questo potevano spremersi un po' più le meningi. Detto questo, se il coacervo di musica risulta di questo livello, si può chiudere mezza ciglia su questo piccolo neo. A parere del sottoscritto, questo Livin' My Dreams, risulta album dell'anno nel genere sino ad ora: impalcatura hard rock e glam flagellata da grandi doti e capacità melodiche al di sopra della norma. E pensare che dalla Svezia arrivano anche i Sanchez…bleah. Bai Bang uber alles. http://www.baibang.se/ http://www.myspace.com/baibang