Barberos, il trio di progressive electronic/noise da Liverpool, UK.
Sì perché i “barbieri” vivono in quella terra di mezzo che prende dal noise-rock, dal prog, dal math e dal jazz e da moltissimo altro ancora, ma che, una volta frullata a dovere con belle iniezioni di energia, una ottima dose di follia, una altrettanto ottima perizia strumentale e la capacità di rendere le proprie composizioni sempre mobili e dinamiche, riesce a raggiungere e interessare un pubblico molto ampio ed eterogeneo. Una volta, in tempi non sospetti, si sarebbe chiamato crossover – pur se la componente “nera”, al tempo conditio sine qua non, qui è ridotta ai minimi termini – per la capacità di utilizzare stilemi vari ed eventuali, spesso anche palesemente evidenti, ma rielaborandoli in una forma sonora ad alto voltaggio ritmico e alien(at)o, atipica nella sua costituzione (zero chitarre, solo synth ed elettronica), priva di barriere e freni, aperta e fluviale (le sette tracce dell’album sono mediamente intorno ai 6-7 minuti), sempre pronta al cambio di ritmo (ben due le batterie in gioco a sostenere i synth di cui sopra), alla dissonanza (la catarsi electro-aliena di Obladen), all’accostamento degli opposti in modalità quasi Mr.Bunglesca (la lunga Concerto (Reprise)). La presenza di Charles Hayward alla voce in un pezzo (Hoyl) è ulteriore testimonianza di credibilità per una formazione che potrebbe incuriosire più di un ascoltatore.