Be Your Own Pet Get Awkward Cosa pensare di un gruppo come i Be your own pet? Esordiscono nel 2006 con un garage-punk d’altri tempi, manco credessero di far parte di quel glorioso ’77 ormai sepolto inarrivabile. Ma questi ragazzi di Nashville se ne fregano e invece di darsi al country come vuole la tradizione della loro terra decidono di imitare Ramones e soci con brani al fulmicotone sullo stile “hey ho let’s go”. Il risultato è che se li si accetta come musica da passatempo (sulla scia dei Time Flys o dei primi Green Day) gli si poteva anche concedere di essere divertenti e accettabili. Rimane da capire se nelle intenzioni primigenie del gruppo ci fossero solo velleità adolescenziali da rock’n’roll un pò sporco o se la volontà fosse proprio di porsi sulla scia dei tanti aspiranti prosecutori ufficiali di quella tradizione punk classica del “no future”. Forse sembrano problemi inconsistenti ma le intenzioni sono importanti perchè nel momento in cui un gruppo vuole porsi come i novelli Sex Pistols dovrà avere determinate caratteristiche per essere credibile, altrimenti diventerà solo una patetica e insignificante imitazione indegna di rispetto. Fortunatamente il decennio ‘00s è già stato fin troppo attanagliato da scadenti e scialbe ripetizioni in quel mucchio spesso fin troppo vasto e innocuo che prese il nome di new rock. I Be your own pet possono quindi essere considerati perlomeno una spanna sopra la media, mantenendosi su livelli vivaci e briosi con il disco d’esordio e quanto meno decorosi con questo seguito, Get awkward, che mostra di ammiccare un pò troppo spudoratamente al pop, che sia solare e surfaro (la Becky dal sapore New Pornographers) o indie low-fi alla Sons and Daughters (You’re a waste) o comunque energico e adolescenziale al punto giusto (The kelly affair, Heart throb). Ovviamente però la base generale resta quasi sempre un garage-punk spigliato e un pò ruvido che si pone tra reminiscenze riot-girl ‘90s (un pizzico di Babes in Toyland e davvero molto delle Sleater Kinney, sentire Creepy crawl per rendersene conto) e riferimenti rock più vicini nel tempo (Erase Errata e la femme fatale degli Yeah Yeah Yeahs, Karen O, in versione punk isterica). Così tra brani un pò insipidi o inutilmente casinari (Zombie graveyard party, Blummer time, What’s your damage) e fiorellini punk impreziositi di noise (The beast within) o tendenti a un classico hardcore (Blow yr mind, Food fight) si rimane più che altro moderatamente impressionati dalla maestosa furia della cantante Jemina Pearl Abegg, capace da sola di sostenere canzoni abbastanza povere dal punto di vista tecnico (tra cui esemplare è Twisted nerve, punk poco credibile dai riffoni banalissimi) e di impreziosire magnificamente i guizzi già di per sè interessanti di Bitches leave e Black hole.Forse è allora il caso che la Abegg provi a orientarsi tra orizzonti più ampi di quelli di Nashville, magari cercando musicisti un tantino più esperti e capaci di assecondare le sue ottime qualità. La sua maestosa voce e il sottoscritto glielo implorano in ginocchio. Anche perchè l’impressione è che i Be your own pet possano fare fatica a controllare gli argini di una diga che se per ora ha retto all’urto del secondo disco, potrebbe non superare il terzo. http://beyourownpet.net/site/ www.myspace.com/beyourownpetmusic