Bongzilla. Giunto al secondo album post reunion il trio di Madison non cambia minimamente direzione, nemmeno in termini lirici: “Dab City” è un’ode alle più pure forme di THC a all’amata città natale della band, chiamata anche la “Città Folle” (Madison, alias “Mad”, appunto). C’è qualcosa da aggiungere? Ci sembra di no, e così ecco sette cavalcate, date le ritmiche all’insegna di fuzz, riff circolari, fango fino alle ginocchia e stati allucinatori. Con la consapevolezza dei prime mover, pur in quadro omogeneo e costante, i Bongzilla riescono a mettere in campo sia brani più psicotropi e rallentati che pezzi più incalzanti: appartengono non a caso al primo gruppo i pezzi più lunghi, che superano nettamente i dieci minuti di durata e la soglia del trip: parliamo della title-track e di “Cannonbong (The Ballad of Burnt Renyolds as lamented by Dixie Dave Collins)”, di cui è impossibile non riportare per intero l’esilarante titolo, che ci fa scommettere anche sulla presenza del vecchio amico e leader dei Weedeater iall’interno9 questo brano malato e decadente, guidato da una cupa linea vocale declamata.