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BOO RADLEYS

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The Boo Radleys "Kingsize" Sembra tanto facile liquidare i Boo Radleys, ma ascoltare un po' di volte ognuno dei loro album è come scoprire un livello totalmente nuovo di qualità nascoste ed uno strato di sottoelementi. Così accade per "Kingsize" un album ambizioso fin dal titolo, per la sua durata (63 minuti) per il numero di canzoni (14) e per i suoi contenuti. Tutti i pezzi sono stati scritti da Martin Carr e l'album è stato prodotto dal gruppo. Il molivo di un atteggiamento sbrigativo nei confronti dei Boo Radleys sta nel fatto che molte delle loro composizioni suonano come mancanti di personalità e di esuberanza. Ci sono richiami distinti ai Beatles (vengono tutti da Liverpool e questo è in una certa misura comprensibile) i britrockers, i Byrds (nei momenti più soffici), più qualche piccolo tributo.... con meno essenza pop di quanto ha assicurato a questa band qualche hit, come "Wake Up Boo!". Ma una volta che il primo ascolto è finito, allora si procede in un ambito che offre qualcosa di più elaborato. Martin e i suoi Radleys sono in cerca della perfezione nel senso più puro del termine, e credono ad un percorso tradizionale nella descrizione delle emozioni per cogliere la bellezza. In questa ricerca i Boo Radleys si servono di ritmi non estremi: quello veloce è solo poco sopra un medio, che a sua volta gira poco più veloce di quello lento, mai comunque da ballata, mentre la quarta marcia è riservata a canzoni molto complesse dove domina l'arrangiamento: "Blue Room in Archway", "High as Monkeys", "Adieu Clo Clo", "Jimmy Webb Is God". Un certo roccheggiare è raggiunto in "Free Huey", "Eurostar", "Comb Your Hair" e la traccia finale, una via di mezzo sono la cinematografica "The Old Newstands at Hamilton Square", "Heaven's at The Bottom of This Glass" il jazz-rock di "She Is Everywhere" e momenti più lenli come una "Monument for a Dead Century" alla Jethro Tull e "Song from the Blueroom". Alcuni titoli suonano davvero impressionanti ed importanti come "Free Huey" (libero II. Newton un membro importante del Black Panthers Movement negli States dei '60); il resto dei temi toccati nell'album varia, dal rapporto personale con le 'dimensioni' (la canzone del titolo riguarda la dimensione di un ...letto d'amore). all'illusione di se stessi attraverso la fuga dalla realtà in "Heaven's at the Bottom of This Glass", l'essere intrappolati ("Eurostar") fino a "Dio-è-unadonna" ("She Is Everywhere") e ad una lezione sulla civillà ("Comb Your Hair"). Al pezzo supremo e stato riservato l'ultimo posto: "The Future Is Now" è una celebrazione con un lavoro di chitarra immaginativo, ritmi danzanti ed una voce ottimistica, più un tocco di festosità alla Ian Dury and The Blockheads nei loro giorni migliori...

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