Da sempre, fin dai tempi di King Oliver e di Jelly Roll Morton, il jazz si è nutrito di relazioni, di contatti, di legami più o meno duraturi. Questione di DNA, certo, di ancestrale vocazione. Ma anche di consapevole attitudine: all'apertura, all'inclusione e alla
condivisione. Un'attitudine mai rinnegata, nemmeno in tempi decisamente più complicati e dispersivi come i nostri. Merito di chi, ostinatamente, continua a lavorare per allargare gli orizzonti
(artistici, geografici e umani) piuttosto che per tracciare confini o stabilire intolleranti codici di comportamento. Rob Mazurek, ad esempio. Che fin dagli esordi nella Chicago di Jim O'Rourke e dei Tortoise ha deciso di fare dell'apertura, dell'inclusione e della condivisione una professione di fede. Lo dimostra anche l'idea di questo settetto, che rappresenta la summa e la sintesi di alcuni dei tanti progetti messi in fila negli ultimi anni da Mazurek. Il Chicago Underground, in primis, con il batterista Chad Taylor nel ruolo di scudiero di lunghissimo corso e il pianista Alexander Hawkins in quello di sodale nella versione
raddoppiata e londinese della band; ma anche l'ottetto Land of Spirals e il quintetto Immortal Birds Bright Wings