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CLAUDE DEBUSSY

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CLAUDE DEBUSSY Il pittore del suono Oltre le convenzioni e le regole : equilibrio, sobrietà, fantasia, sensibilità, alacrità, misura, finezza, ingegno. Al di là delle deplorevoli etichette, Debussy traccia una profonda linea di demarcazione tra l'esacerbato lirismo dei suoi predecessori e le innumerevoli (e, talvolta, rivoluzionarie) acquisizioni del Novecento, alla ricerca di una musica in cui "lo sviluppo non sarà più dato dall' amplificazione materiale e dalla retorica del professionismo foggiata tramite eccellenti lezioni, ma che si prenderà in una accezione più universale e finalmente psichica". Libero per temperamento e aperto al mondo della trasgressione fin da giovane età, Achille-Claude Debussy (22 agosto 1862, Saint-Germain-en-Laye) entra al Conservatorio di Parigi nel 1872 e già qualche anno dopo ne scandalizza alcuni membri eseguendo un'impressione pianistica fatta di accordi sospesi e irrisolti, semplicemente legati all'intuizione e votati al dileggio di armonia e contrappunto. Studia pianoforte con Marmontel, solfeggio con Lavignac e composizione con Guiraud. I primi amori saranno Chopin, Schumann, Haydn, Mozart e Bach (per il quale conserverà sempre una particolare ammirazione), ma, soprattutto, Wagner (l'adorazione del quale si trasformerà negli anni in un sistematico rifiuto). Conia un postulato estetico che perseguirà tenacemente : "Non esiste la teoria. Basta ascoltare : il piacere è la regola ". Viene divorato da una veemente curiosità per tutto ciò che è arte (specie pittura e letteratura) e da un'inestinguibile sete di sapere che infiammano la sua estrema sensibilità. Nel 1884 ottiene il suo primo riconoscimento pubblico : il Prix de Rome, grazie alla cantata 'L'Enfant prodigue'. La sua graduale maturazione passa, però, attraverso la sintonia con gli scrittori simbolisti francesi (Mallarmé, Valery, Rimbaud, Verlaine), la contemplazione delle opere dei Preraffaelliti, l'ascolto di Musorgskij, Rimsky-Korsakov, Borodin (e del suo monumentale Boris Godunov) e (principalmente) degli iridescenti suoni della musica di Giava. Infatti, proprio all'interno dell'Esposizione Universale di Parigi (tenutasi nel 1889 per commemorare il centenario della Rivoluzione Francese) Debussy si imbatte nell'esibizione di alcuni musicisti giavanesi accompagnati dal volteggiare delle danzatrici bedaya. La grazia lenta di tali movimenti e l'acquoreità dei suoni del gamelan instilleranno in lui segnali irreversibili di innovazione armonica e suggestioni cromatiche dalle tonalità anomale. Analizzando qualche opera dal suo repertorio (non vastissimo, ma quasi sempre illuminato da pregnante genialità ) si intuisce quanto egli appartenga solo fisicamente alla sua epoca, colpevole esclusivamente di lungimiranza artistica. Innanzitutto il "Quator à cordes"(Quartetto per archi) del 1893, dove dimostra che la libertà compositiva non corrisponde all'inettitudine : la scelta della forma-quartetto, baluardo del pensiero classico-romantico, non preclude l'accesso al rinnovamento. La duplice utilizzazione di un linguaggio modale e tonale (simultaneamente oppure in alternanza) all'interno di rigide strutture precostituite donano all'opera atmosfere e colori assolutamente nuovi, votati, quasi, ad una fatale astrazione. "Prélude à l'après-midi d'un faune", poema sinfonico del 1894 (molto) liberamente ispirato all'egloga di S. Mallarmé, segna probabilmente l'avvento della 'nostra' modernità (se ogni epoca ne possiede una) : concezione formale e varietà ritmico-timbrica superano di gran lunga le tradizionali acquisizioni. "Pelléas et Mélisande" (1893-1902) sancisce l'incontro tra Debussy ed il drammaturgo Maurice Maeterlink e scatena, al momento della prima, feroci critiche da parte dei suoi detrattori. L'opera si avvale di una musica sottile, discreta ed onirica e di un canto sommesso, privo di declamazioni (delle cosiddette 'arie'), la cui raffinatezza (l'orchestra fornisce immagini sonore quasi autosufficienti) lascia interdetti i seguaci del classico 'dramma musicale'. "La Mer" (tre schizzi sinfonici del 1905) costituisce una nuova fase nell'evoluzione del compositore, ma, anche, una nuova forma di dialettica musicale : qui i temi si susseguono (diversi e apparentati da qualche legame nascosto), la forma nasce dalla loro apparizione e dalla loro successione (si autogenera) ed i ritmi si sovrappongono e si contrappongono. Ascoltando "La Mer" può davvero capitare di udire, di vedere, di provare il mare. "Vorrei vedere, e forse riuscirò a produrla, una musica che sia completamente libera dai 'motivi', o meglio costruita su di un solo 'motivo' ininterrotto che non torna mai su se stesso". "Jeux" , breve balletto scritto nel 1912 commissionato da Diaghilev (la cui coreografia è affidata a Nijinskj), rappresenta il culmine del procedimento di frammentazione e di dispersione sonora instaurato da Debussy. E' lo stesso concetto dell'utilizzazione dell'orchestra che viene rimesso in discussione. Il groviglio di strutture, il tripudio di colori e la plasticità dei timbri suscita persino l'irritazione dell'opinione pubblica. L'indice di modernità raggiunge livelli inquietanti. Menzione a parte meritano, inoltre, le sue opere per pianoforte (soprattutto i "24 Préludes pour piano" e gli "Etudes") : lo strumento viene collocato in un nuovo universo scevro da ogni accademismo, finalmente in bilico tra meccanismo, tocco ed espressione. "Il suono pare zampillare da una sorgente innata, anteriore ad un concetto, con tanta purezza da riflettere all'esterno mille ritmi d'immagine" Valéry scrive che "la tradizione non consiste nel rifare ciò che gli altri hanno già fatto, ma nel ritrovare lo spirito che ha fatto queste grandi cose e che ne farà altre diverse in altri tempi" e l'intero lavoro debussiano tende a sancire tale affermazione. Tanto nelle opere corali, drammatiche o orchestrali quanto nelle melodie o nella musica da camera o per pianoforte rintracciamo in lui la ricerca di un linguaggio elegante, ammicante perfino all'esotismo, ma sempre incline alla costruzione di intelaiature da agganciare e non da contrapporre alle unità preesistenti. Se è vero che tutte le arti di una stessa epoca ne riflettono le tendenze, è altresì certo che ognuna lo fa alla propria maniera; così Debussy non può essere impressionista come lo sono i pittori (vocazioni, tecniche e mezzi d'espressione sono diversi). La qualifica di "simbolismo musicale" e, ancorpiù, la notifica di "impressionismo musicale" potrebbero essere etichette di comodo per sintetizzarne l'essenza, ma attestano, comunque, il desiderio di sogno e di mistero della sua musica. Va, oltretutto, sottolineato che fino a metà del ventesimo secolo la musica colta ne ha dimenticato quasi completamente l'eredità, intenta com'era a radicalizzare varie forme di sperimentazione; solo alcuni compositori di colonne sonore per lungometraggi hanno attinto alle sue fascinazioni. Alle soglie del ventunesimo secolo, invece, la sua figura, (presaga di aperture e di intuitività) e la sua arte ("impressionisticamente" liquida) tornano, prepotentemente e meritatamente, al centro dell'attenzione. "Continuamente cangiante, ora brillante, ora cupa, quella musica capricciosa sembrava esprimere una nuova irrequietezza spirituale, insofferenza e mancanza di direzione, poiché era imprevedibile come il gioco intermittente della luce del sole in un cielo pieno di nuvole." RINO ROSSI

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