Distal è, senza mezzi termini, un disco della madonna. Trattenere l'entusiasmo, in certi ambiti, è controproducente. L'oggettività critica può bellamente andare a farsi benedire, insieme ai vocaboli citazionismo, anacronismo, revival. È grazie a dischi come questo che uno alla fine diventa pazzo. Pazzo agli occhi di chi non conosce la stordente sensazione tattile e olfattiva dello scartare lentamente un vinile appena comprato, agli occhi di chi “ma chi te lo fa fare di stare ammucchiato quattro ore per sentir suonare cinque sfigati che nemmeno passano in radio, andiamo là che è pieno di figa”, di chi ha scaricato sedicimila mp3 in mezzora, ché nella sua clio con l'alettone c'ha la chiavetta usb e il subwoofer da sturbo… pazzo agli occhi di tua madre, che se a trent'anni pratichi ancora l'air guitar coi denti serrati e tanta devozione non sei mica venuto su tanto bene, e si colpevolizza. Distal è un disco della madonna. Cinque inglesi di Derby che incidono per un'etichetta italianissima (la mai troppo lodata Triste) e suonano (divinamente) un emocore grezzo e selvaggio precipitato in Albione direttamente dalla provincia americana degli anni '90. Una padronanza tecnica miracolosa, due bassi che non vogliono saperne di stare al loro ingrato posto sullo sfondo, una batteria che mitraglia e accudisce e mitraglia senza soluzione di continuità, e le voci, di tutti e cinque, ora urlate, ora ammansite: corali, sovrapposte, dissonanti, catartiche. Sette pezzi che sembrano cento, tanti sono gli spunti, gli intervalli, le mutazioni all'interno di ogni singola canzone. Quaranta minuti di incontaminato furioso piacere, di amicizie appena nate e già ubriache negli abbracci sudati sotto il palco, quaranta minuti a squarciagola nella solitudine del tuo monolocale in cui solo non sei più, quaranta minuti più uno, che ti occorre per voltare il vinile, un minuto in più di attesa conturbante che assapori nello sfrigolare della puntina, come fosse l'ultima volta. Tu, pazzo e drogato che non sei altro, dei controtempi singhiozzanti di Big Sea non puoi più farne a meno, Stiltwalker è talmente veloce che t'imbarazza, se ne accorge e si rarefa educata, consigliandoti “please do your worst”. È il motivo per cui Wide Awake giunge consolatoria e Lifewood parte arpeggiata per deflagrarti nel cervello. A questo punto capisci che scappare non si può, e ondeggi volentieri sulla strepitosa Gold On Red, sul suo finale pestone e sconclusionato che ami e non ti spieghi perché. E nemmeno ne avresti il tempo, perché Closure già ti prende a pugni, a cullarti ci penserà dopo, bella come il sole in faccia. Mentre dormi, Asleep nemmeno la riconosci, te la ricordavi diversa, perché diversa era, e per sempre sarà. Chissenefrega delle etichette, i Crash of Rhinos e il loro Distal (il mio Distal) non avrei saputo approcciarli in altro modo. È stampato da Triste in doppio vinile, ma il download è gratuito (oppure a offerta libera) sul bandcamp del gruppo. Non siate così pazzi da procurarvelo, nessuno ve lo perdonerà. “Our favourite part is not how this ends, it's just how it starts, and just that it starts.” http://crashofrhinos.bandcamp.com/