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DESTRUCTION UNIT

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Ryan Rousseau è una scheggia impazzita del garage rock statunitense, intorno alla storia dei suoi Destruction Unit, attivi con questo nome praticamente dal 2000, si è formata l'aura della leggenda. La formazione originale metteva insieme due concittadini di Memphis, Alicja Trout e il grande e compianto Jay Reatard, lineup che avrà breve vita e che cambierà in modo anche accidentato fino al precedente Void, pubblicato durante quest'anno dalla Jolly Dream e che vedeva Rousseau alla chitarra e alla voce, il fratello Rusty al basso, J. keefer alla batteria, J. Aurelius e N. Nappa alle chitarre. Deep Trip è il primo album della band accasato con Sacred Bones, forse l'etichetta più strutturata che ha accolto la musica di Ryan Rousseau, ed è prodotto da Ben Greenberg dei The Men. Non per questo suona più addomesticato, anzi, rispetto alle influenze Kraute di Void, uno strascico che i Destruction Unit si portano dietro fin da lavori come Eclipse e Sonoran, Deep Trip ritrova la furia distruttiva degli esordi, suonando molto più feroce e deragliante del suo predecessore, e cercando nuovamente quel limite estremo di udibilità che faceva della musica del combo una versione marcia, ronzante e degradata di qualsiasi forma in odor di primitivismo, tanto che i primi ad accorgersi della statura di Rousseau sono alcune band tra le più deviate dell'attuale scena Garage Americana, etichettata in forma del tutto semplificativa e riduttiva come shit-gaze. Se nella musica di Rousseau quegli ingredienti ci sono tutti, dai My Bloody Valentine ai Cramps, dagli Hüsker Dü di Zen Arcade ai Dead Kennedys di Holiday in Cambodia, dai primissimi Jesus and Mary Chain al delirio spastico di David Thomas, questi vengono maciullati in un incubo post-apocalittico il cui scopo è semplicemente quello di drogare l'ascoltatore con interferenze, lamenti dall'oltretomba, chitarre che suonano come voci umane tormentate, un ultimo rantolo soffocato in gola prima che la testa e il corpo comincino ad esplodere senza requie. Deep Trip apre proprio con The World on Drugs, una destabilizzante cavalcata noise che collassa su se stessa, 55 secondi esatti che ci separano da un violentissimo attacco trash-core emerso d'improvviso da un vortice dimensionale fatto di urla e rumore; la voce di Rousseau si fa subito sentire come il minaccioso monito di un predicatore crudele mentre le tre chitarre spingono i motori verso un ruggito circolare, una narrazione accattivante come quella del miglior, sporco, bastardo punk'n'roll, o se preferite, il ringhiare dell'ultimo dei cani con la bava alla bocca. E non è finita qui, perchè Slow Death Sounds aumenta il muro hardcore mentre la voce di Rousseau scende verso l'inferno, con un incedere dalle caratteristiche quasi Doom, che mantiene un contatto con il rock primitivo solo grazie ad un uso dell'eco alla Elvis, sicuramente l'incontro che il nostro Ray vorrebbe fare nella terra dei morti, anche perchè il brano si trascina con una coda incendiaria mentre sullo sfondo si sentono distintamente i lamenti di una casa infestata, degni di un horror degli anni '70. Le tracce successive continuano su questa strada, un ronzante movimento circolare fuzz, la chitarra di Rousseau che disegna intrecci visionari e lisergici, e le altre che erigono un muro metallico, durissimo, che accresce il senso di devastazione frugando nelle risonanze più sinistre del nostro animo. Su queste premesse deviate, Rousseau conosce maledettamente l'arte suasiva della forma canzone, ascoltatevi God Trip per scovarci dentro il Bowie di Scary Monsters ormai annichilito da una vacanza in una qualsiasi zona di guerra; perchè i mostri, quelli davvero super-spaventosi, quelli che emergono dallo specchio dellla tua camera, quelli che ti ricordano quanto tu sia fatto di carne marcia, sono la migliore spinta creativa dei Destruction Unit, prendere o lasciare. http://dunit.ascetism.com/

DESTRUCTION UNIT è presentato in Italia da NEW LIFE PROMO

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