Driftmachine è la creatura congiunta dei berlinesi Andreas Gerth e Florian Zimmer, due autentici veterani del panorama sperimentale berlinese: nato negli Ogonjok e consacratosi nel Tied & Tickled Trio il primo, giramondo dai mille gusti il secondo, dapprima in forze ai Fred Is Dead e poi spostatosi nei Jersey prima di fondare, più recentemente, l'interessantissimo progetto Saroos, giunto agli onori delle cronache per la sua inusuale lettura dell'universo post-rock.
Ma dicevamo dell'impossibilità di definire un disco che tende a unire in un unico solco una serie di esperienze quantomai eterogenee, e sceglie di farlo per mezzo della più spontanea e imprevedibile delle vie: l'improvvisazione. Ritrovatisi a spartire strumentazione e studio, i due amici di lunga data hanno sostanzialmente dato libero sfogo alla creatività del momento, tirando fuori dal cappello una mixture che ingloba in un unico contenitore escrescenze post-idm, spianate analogiche di memoria tipicamente kraut e salti nel vuoto dalle parti di certa synth-music che dagli States continua tutt'oggi a omaggiare Berlino e la sua eredità.
Una miscela che si rivela ben presto in tutto il suo valore, seppur declinata e assortita in diverse varietà anche parecchio distanti fra loro: i cristalli liquidi danzanti di “To Nowhere Pt. 2” potrebbero tranquillamente portare la firma di Bee Mask, tanto quanto “Drift” sembra uscire direttamente da quelle sinfonie macchinali e levigate tanto care al Jon Hopkins di “Insides”.