"La fortuna di perdersi nel bosco", il look dominato dalla folta barba, le scene di provincia e l'essenziale folk acustico: Colandrea potrebbe ricordarci Iron & Wine o Bon Iver. In "Belli dritti sulla schiena", però, a discapito delle parabole contemporanee di Samuel Ervin Beam e gli struggimenti di Justin Vernon, troviamo una vivida e vivace rassegna di pensieri e scenari quotidiani. La scrittura si concentra infatti su immagini/frasi spesso ripetute, dove si stagliano scorci riflessivi (l'opener dall'intro celestiale "Il ciglio del vulcano" o "Credo", sporcata dalla chitarra elettrica).
In alcuni passaggi, il tono si fa alquanto (auto)critico, vedi il singolo anticipatore "Ok Emanuele": "Se fossi stato di Bologna forse l'avrei chiamata 'L'avvelenata'", ha dichiarato a riguardo l'autore. A far da collante, sparso un po' ovunque, un amore raccontato in prima persona in ogni sfumatura, da "Buona fortuna amore mio" a "Gerico" e "Erika".Unico momento musicalmente "estraneo" è proprio la trascinante title track, una "lettera scritta a qualcuno per parlare di se stessi", che si stacca dal morbido flusso degli arrangiamenti per una scintillante veste cucita dai sintetizzatori. Chiude l'ispirata e genuina mezz'ora d'ascolto la sentita "Il pane e la farina (canzone per Gabriele)".