Il terzo disco di Fabio Barovero comprende 10 brani, tessuti con materiale elettronico e archi di contrabbasso e violino. L’album, pubblicato da Felmay, è stato registrato durante il 2018 nello studio Verosound, l’atelier musicale voluto e realizzato da Barovero su un lembo di terra circondato dal fiume Dora, alle porte di Torino).
Le dieci tracce sono definite dall’autore «eremitaggi», ovvero azioni creative attraverso cui «allontanarsi da tutto per avvicinarsi al tutto» e nascono dal bisogno di ottenere musica che sia quanto più vicina al versante sacro dell’esistenza, che dispensi pietas sulla vita consumata, sui luoghi e sui beni scomparsi o in progressivo abbandono.
«Nell’epoca dell’apparente azzeramento delle distanze», dichiara Barovero, «attraverso la solitudine e il linguaggio sensibile delle proprie emozioni e del proprio dolore, ci si ritira dal mondo per vederlo poi meglio»
In questo ritrarsi, che è ambizione, ricerca musicale ed emotiva, ci si inoltra fino a trovare la versione più intima e assoluta di se stessi.
Il luogo che questo disco invita ad esplorare attraverso i 10 eremitaggi dalla durata complessiva di 47’48’’ , piò essere definito come musica classica- elettronica-cinematica, per le influenze del compositore Barovero (autore negli ultimi anni anche di colonne sonore per il cinema) e per gli apporti dei musicisti Federico Marchesano (contrab- basso) e Simone Rossetti Bazzaro (violini).
«Nella realizzazione di questo lavoro, ho cercato di costruire un’ambientazione sacra in cui portare la mia musica. Mi sono allontanato come farebbe un eremita, figura che mi sembra lontana dalla contemporaneità, ma che sento a me vicina. Utopica forse. E’ così profondamente necessario per me che ci si allontani dal mondo iperconnesso, dall’ ossigeno sintetico, e che ci si metta sulle orme di una ricerca vitale per scoprirci più selvatici»