Quello che nasce dalle note di Till It’s All Forgotten è un mondo delicato e mesto. Norvegese di base a Londra, Kari Jahnsen in arte Farao esplora il distacco, la disillusione, i vuoti comunicativi tra gli esseri umani. Li approccia con brani dalle architetture complesse in cui chitarre, xilofoni e strumenti a fiato sono affiancati da synth che danno un’anima electro all’intera opera e a batterie dal tocco compresso come nel Thom Yorke solista.
Nell’omonimo EP di debutto dello scorso anno è stato Mike Lindsay dei Tunng a curare gli arrangiamenti, la collaborazione ha lasciato più di un’impronta sul sentiero evolutivo di Farao, tant’è che tracce della sghemba banda inglese si intercettano un po’ ovunque in questo primo lavoro su lunga distanza.
I suoni delicati e cristallini accompagnano canzoni dal tono dimesso, sempre avvolti da un velo trasparente di malinconia. A tratti Farao ricorda l’ingenuo candore della connazionale Hanne Hukkelberg (Hunter) e là dove gioca con le strutture ritmiche compaiono i Jaga Jazzist (TIAF, Warriors).
Il singolo Bodies è accompagnato da un video toccante e desolante quanto le sue melodie, Maze è un sogno fiabesco che si dissolve in una spuma di trombe, Feel guarda ai Radiohead di “In Rainbows” senza celare una certa reverenza.
Farao ha ottime intuizioni e un gusto estetico raffinato, la sua musica veicola emozioni profonde ma impalpabili, quei miscugli di sentimenti indescrivibili a parole. Se saprà giocarsi bene gli assi a sua disposizione, in futuro potrebbe darci enormi soddisfazioni.