FORT LAUDERDALE – Time Is Of The Essence (Memphis Industries/Audioglobe) Strano disco, fatto di psichedelia giocattolo quasi, dove imitazioni del theremin come nelle più classiche apparizioni fantasmatiche dei film gotici americani degli anni ’40 si sposano con bassi timidamente funk (Let’s Go Here). Steve Webster e Toby Jenkins, che si parano dietro il nome della cittadina rivierasca della Florida (in realtà il monicker si rifà ad un libello degli anni ’60 che indagava pruriginosamente sulle perversioni dei giovani di quella città, un po’ come era già successo per Velvet Underground e Generation X) cercano di unire un minimalismo sognante ad atmosfere pop e a meno universalmente digeribili caramelle underground. Citano Syd Barrett ma francamente il Cappellaio Matto lo si vede in lontananza e solo sul proscenio della coda di The Playboy Demise, una piccola cattedrale di vetro su cui scende quella neve posticcia da globi d’antan. Più probabile che Mr. Vorremmo-che-tu-fossi-qui (ma davvero, eh?) viva e lotti dentro di loro: evanescenza degli slogan… Qua e là par invece di vedere uno dei Residents che si siede alla pianola Bontempi a rilassarsi con ricami da Durutti Column: eterea ironia, impalpabile surrealismo. Vengono in mente i cieli di Magritte. Ce ci ce n’est pas un disque, èvidemment. E allora, da bere per tutti, se troviam da qualche parte una dimenticata bottiglia d’assenzio. Ci vedo, anche, le pozze d’acqua di Escher e la Parigi dal netto bianco e nero di Tardi. Non può essere il sole della Florida, cavolo… sarà la sua dark side. Straniante. Consigliato agli spiriti inquieti, quelli con lo sguardo da Nirvana e le viscere abbeverate allo Stige.