Un filo rosso che serpeggia sornione: un gioioso senso di inquietudine. Si badi bene che non c’è nulla di angosciante qui, ma ci sono cinque scalpitanti musicisti che creano e distruggono con disarmante abilità delle trame sonore ben architettate. C’è l’attenzione di Diodati per la melodia che, contrariamente a quanto in voga, non scompare: alcune volte si nasconde, altre è in bella mostra, pronta a essere disarcionata da qualche intemperanza ritmico-armonica, come nell’elaborata e diamantina Here And There, dove sotto le sferzate di Lento si respira aria da psichedelia sinfonica anni Sessanta-Settanta. C’è il groove di Benedetti, che manovra tuba e trombone macinando chilometri di rock d’antan (Cities) e il pianismo pre-moderno (post-antico) di Zanisi che mette in gabbia tutte le sonorità più contemporanee (Irrational Numbers, ma anche River). Il leader giganteggia non solo per le composizioni (otto brani su nove recano la sua firma), ma anche con sonorità ricercate, pennellate all’interno di una concezione musicale cuneiforme, sinfonica, polimorfa, rintuzzando le invenzioni ritmiche argomentate con maestria da Morello