Si rimane una volta di più sorpresi della quantità e varietà di suoni che Frith sa estrarre da una chitarra a sei corde, ancora oggi dopo le circa quattrocento sedute di registrazione cui ha partecipato dagli Henry Cow in avanti. La portoghese si conferma a sua volta talento creativo di prim’ordine, rielaborando le idee del partner e rilanciando a sua volta, aggiungendo perle a una collana tendenzialmente infinita. Anche nell’occasione la musicista, ora di stanza a Stoccolma, privilegia timbri noir, o meglio lunari, che ben si amalgamano con la tavolozza sonora del britannico. Ne nasce una striscia sonora fatta di in egual misura di ronzii e suoni ariosi, cristallini, dissonanze e distorsioni, Da questa conversazione inesauribile, talora tenuta ad alta voce, in altri fran[1]genti composta da toni più confidenziali, evitando di insistere su una singola invenzione, seppur felice, abbandonandosi al mistero e all’eccitazione, alla meditazione e all’impeto, ne scaturisce una sorta di racconto fatto di microracconti, suoni come storie in possesso di una propria autonomia e connessi al tempo stesso gli uni agli altri.