Ad un bivio importante della propria carriera quello che ci si può aspettare da un artista ormai platinato e anagraficamente pronto è l’uscita dalla proprio bozzolo alla ricerca di una genuina identità. Discorso non nuovo a Pardini che a RS ha rivelato: «mi deprime sia dovere invecchiare sia il fatto che invecchierà il mio modo di scrivere probabilmente, sono terrorizzato […] di diventare patetico come quelli che hanno cinquant’anni e si sforzano di scrivere canzoni per piacere ai sedicenni […] e succede preferisco lasciare e aprire un ristorante. Preferisco essere uno che ha fatto pochi dischi bellissimi e non moltissimi mediocri. Spero solo che la mia ambizione resti sempre più forte delle mie necessità». Pensando a tali dichiarazioni è ancora più chiaro quanto Gazzelle sia ancora intrappolato in quella crisalide. Quell’allure adolescenziale fatto di primi amori e zucchero filato, fondamentale per arrivare ad oggi, avrebbe necessitato di una rielaborazione post-pandemica (qualcosa di più di quei Destri rubati a Ligabue), di un ampliamento delle semplificazioni testuali e di un percorso introspettivo più ampio circa la propria identità artistica.