Quando esordirono nel 2007 i Good Shoes, cavalcando puntualmente l'ondata indie/revival che ha invaso l'intero Occidente, riuscirono a piazzarsi al 55esimo posto delle classifiche britanniche e a porsi come ennesima espressione di quell'infinito calderone che - anno dopo anno - ha finito per diventare il maggiore trend musicale del nuovo millennio. Per i giovani londinesi una carriera messa quindi in discesa sin dagli albori, grazie a quel piacevole Think Before You Speak che ne aveva messo in mostra la forza e la capacità di divertire, seppur all'interno di uno schema compositivo tutt'altro che originale e vincolato alle medesime soluzioni che hanno reso famosi Bloc Party, Franz Ferdinand, Arctic Monkeys e compagnia bella. A due anni di distanza dal positivo esordio i Good Shoes mancano però il bersaglio, dando alle stampe un disco che non aggiunge nè toglie niente ad uno scenario incredibilmente espanso e altrettanto stantio come quello indie rock contemporaneo. No Hope No Future è infatti un album si scanzonato e ballabile ma completamente privo di un proprio carattere, di una personalità convincente, di un assetto compositivo in grado anche minimamente di allontanarsi dagli abusati canoni indie. A dire il vero neanche Think Before You Speak era riuscito a districarsi dall'indelebile influenza di act maggiori (Arctic Monkeys su tutti), ma No Hope No Future questo discorso lo amplia a dismisura, scadendo in continuazione nel plagio, nella ripetizione e - elemento che pesa maggiormente - nell'inerzia creativa. Nonostante sussistano episodi positivi e convincenti - in primis la trascinante opener The Way My Heart Beats e le più ricercate Our Loving Mother In A Pink Diamond e Time Change - anche a livello melodico i Good Shoes dimostrano di aver fatto più di un passo indietro: i fraseggi strumentali scadono spesso nel banale e soprattutto nel prevedibile (Do You Remember), i richiami ad act più blasonati sono eccessivamente palesi (chiara l'influenza degli Interpol in Everything You Do e ancor più evidente quella degli Arctic Monkeys nei veri e propri plagi I Know e Under Control) e l'intera atmosfera del disco risulta essere troppo secca, melodicamente fragile e tutt'altro che emozionante. Fare un buon disco indie nel 2000 è ormai diventata una più che ardua impresa: i Good Shoes ne hanno dato un'ulteriore dimostrazione, producendo un disco estremamente banale e che, soprattutto se messo in relazione a quanto di buono era stato fatto nel precedente full-lenght, lascia in bocca un sapore ancora più amaro. Quello delle aspettative infrante. Nell'estenuante attesa che sbuchino fuori dal nulla dei nuovi Arcade Fire (gli unici in grado di alzare il livello qualitativo del genere negli ultimi anni), l'indie rock prosegue inesorabilmente la propria caduta: tanto trend, tanta moda, poca musica. www.goodshoes.co.uk www.myspace.com/goodshoes