Grouper The Man Who Died in His Boat Lo si diceva, ai tempi di Dragging a Dead Deer Up a Hill, che i frutti di Grouper sarebbero prima o poi maturati. La prima conferma -dopo il deludente AIA (2011)- l'abbiamo avuta grazie all'ottimo progetto targato Mirroring, che ha aperto le porte di casa Kranky all'artista di Portland. Certo, il materiale contenuto nel nuovo The Man Who Died in His Boat proprio nuovo non è, essendo tratto dagli “scarti” della lavorazione dell'album del 2008. Ma in arte è l'intenzionalità che conta, e conta molto: per questo possiamo interpretare le undici tracce oggi riesumate come un inedito in grado di incarnare una precisa scelta stilistica per Liz Harris. Gli ingredienti che qui dominano sono quelli che avevano convinto anni fa, quelli legati al folk etereo ed ambientale -ma dotato di un'impronta melodica netta, tutt'altro che abbozzata- di brani come Heavy Water/I'd Rather Be Sleeping e Stuck, tutti incentrati su giri di acustica espansi e liriche estatiche. Ed eccoci quindi al dato di fatto: dalle nebbie dei lavori passati, oltremodo orientati verso il drone più enigmatico ed ermetico, si sceglie ora di dirigere ogni sforzo verso un folk dai contorni meno labili. Il che, tradotto, significa una cosa sola: melodia. È proprio la conquista di un songwriting lineare e di una composizione meno dispersiva a caratterizzare il ritorno della Harris, padrona della sua creatura come non mai, e come non mai capace di distillare dal suo alambicco umori, odori, essenze incantevoli e delicate. Non facendoci ingannare dall'immobilismo ambient della prima 6, ecco che arriva Vital a dispiegare un potenziale fuori dal comune. Andamento circolare, linee vocali in loop a creare strati traslucidi sovrapposti ed effetti eco, per un affresco dreamy davvero catartico. Ma è Cloud in Places la prima vera rivelazione: le atmosfere sono quelle di cinque anni fa, ma tutto è più cristallino e nitido. Le pennate di chitarra creano profondi solchi melodici, dando vita a tessiture dense e persistenti. Per non parlare di una forma canzone mai così convincente. Il tutto con la solita economia di mezzi diventata tratto caratteristico della scena sperimentale di Portland. Il discorso non si chiude certo qui, perché le varie sfumature di questo ethereal-folk sono coperte da brani altrettanto validi quali Cover the Long Way, trasudante malinconia onirica, o l'omonima The Man Who Died in His Boat, quasi un pezzo dei primi Low filtrato attraverso un vetro, o ancora la struggente Living Room, incentrata su un arpeggio grave e dolente, per un brano da annoverare come un piccolo classico slow-core. Per quanto riguarda il fronte ambient-drone, questa volta il dosaggio attento scansa il rischio di un eccessivo sovraccarico. Brani come Being Her Shadow, Difference (Voices) e Vanishing Point si inseriscono senza pesare troppo sulla scorrevolezza complessiva, creando anzi intermezzi sospesi e aggraziati. Finita la sbornia della psichedelia amorfa la Harris sembra voler mettere più carne sul fuoco, cercando di evitare l'effetto del “tanto fumo”. A buon rendere, quindi. Speriamo che il nuovo corso inaugurato da The Man Who Died in His Boat porti lontano. www.myspace.com/grouperrepuorg