Nati sul finire degli anni ’90 ci hanno risparmiato il The davanti al nome, ma quando nel 2003 incisero il loro primo disco su major c’è che vide in loro una versione ricca di groove dei The Strokese e gli accostamenti con i vari fenomeni del nu rock con l’articolo davanti si sprecarono. Gli Hot Hot Heat nascono nel freddo Canada intorno al 1998 ma esordiranno per un’etichetta indie solo nel 2001. Fu due anni dopo, grazie al singolo “Bandages”, canzone inclusa in quel capolavoro che è Make Up The Breakdown, che esplosero nella nuova scena newrockrevivalnuwawe. Di quel disco va ricordata anche la splendida “Talk To Me, Dance With Me” che tormentò i sonni del sottoscritto a causa di un giro di chitarra epidermico che fischiettai per mesi e mesi. Due anni dopo, i groove e gli slanci danzerecci andarono un pò persi nel meno convincente ma comunque buono Elevator, che vide già in ribasso le loro quotazioni ed oggi, che arriva Happiness Ltd., il rischio di passare nel dimenticatoio più assoluto è dietro l’angolo. Per la serie come passare in 4 anni dalle stelle alle stalle. Constatato con la dovuta tristezza che le attitudini dance sono definitivamente sparite (o quasi completamente) per lasciare spazio ad un pop mainstrem ben confezionato, va detto che questa nuova prova degli Hot Hot Heat è tutt’altro che da buttare in toto. Il disco si apre con il basso sincopato del sempre buono Howerthone per una title track che parla già chiaro: chitarra dall’andamento solare ed un cantato di Steve Bays ordinato ed ultra melodico che cresce via via che la batteria incalza. Ma le ambizioni pop della band vanno ancora più in risalto nelle tracce seguenti, con ammiccamenti al brit sound ed al power pop, garantito da riffs comunque s empre intelligenti e dalle tastiere che pompano i suoni. In “Let Me In”, attuale secondo singolo, appaiono anche degli archi, che saranno una costante nella maggior parte dell’album; in “5 Time Out Of 100” esplode invece una vena più garage con la voce di Bays più aggressiva e con un ottimo lavoro delle percussioni. In “Outta Heart” i baldi canadesi si travestono da The Servant, tra l’altro riuscendoci con risultati opinabili. Fa invece piacere sentire in tale contesto un pezzo come “Give Up?”, già pubblicato qualche mese fa per la colonna sonora di un noto videogame automobilistico e qui riproposto nella parte centrale della raccolta, un brano che lega bene con il passato grazie alla sua carica ma il ritornello è più debole rispetto agli episodi passati. In “Conversation” invece si scimmiottano gli Hard-Fi, anche se questa volta il risultato è migliore risultando alla fine anche uno dei pezzi migliori del disco grazie al ritornello corale davvero buono; clima rilassato, quasi al limite della ballata orchestrale ( qui i violini la fanno da padrone) in “Good Day To Die”, che risulta un po’ troppo zuccherosa nonostante un refrain abbastanza malinconico nella timbrica vocale. Una band che in poche parole pare definitivamente aver chiuso con il passato aprendo una nuova via, alla ricerca più della buona melodia canticchiabile che dello slancio rock carico di groove. Resta il fatto che in tanti ci aspettavamo i fuochi d’artificio da questo ritorno, invece gli Hot Hot Heat hanno deciso di lanciare solo qualche petardo. Grande promessa di inizio millennio non mantenuta Brani suggeriti: Happiness Ltd., Let Me In, Good Day To Die, Give Up? www.hothotheat.com www.myspace.com/hothotheat