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INTERCITY

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Nominalmente, questo è il terzo album degli Intercity, ma ci sono stati diversi cambiamenti rispetto ai due lavori precedenti e viene quasi naturale pensare a questa nuova formazione come a un progetto che inizia ora. Certo, i fratelli Fabio e Michele Campetti sono sempre qui, ma attorno a loro è cambiato tutto, con l’altro membro di spicco Anna Viganò ormai in pianta stabile nella line-up degli Officina Della Camomilla.
Ovviamente, anche dal punto di vista musicale le differenze rispetto agli altri lavori a nome Intercity sono evidenti e non solo perché manca quasi del tutto il cantato femminile: lo stile melodico e vocale di Fabio Campetti è sempre lo stesso, ma attorno a esso il suono è cambiato molto e anche i testi hanno un’attitudine differente.

La proposta degli Intercity ha sempre avuto la caratteristica di voler mostrare un profilo piuttosto alto: si voleva dare all’ascoltatore la chiara idea di canzoni colte, sia nel suono che nei testi, con un atteggiamento piuttosto aristocratico. In queste dieci canzoni, invece, c’è sempre ambizione, ma in modo del tutto diverso. Il suono, infatti, è molto denso e decisamente meno attento alla pulizia formale: ci sono sporcizia e ruvidezza, con la chitarra, le tastiere e un violino molto presente che non hanno paura di creare tutti assieme una sorta di mischia nella quale ci si deve sporcare le mani. Tutto questo, comunque, è veicolato in una forma precisa e strutturata, solo con più impatto, più asprezza e meno pulizia.
Allo stesso modo, nei testi spariscono quasi del tutto le citazioni letterarie, musicali e cinematografiche e si punta su descrizioni più dirette e ambientazioni più concrete. Si racconta di mancanza di stimoli, di situazioni potenziali che non si concretizzano, di vani tentativi di riscatto. Il lessico è sempre piuttosto ricercato, seppur, come si diceva, più diretto.

L’iniziale “Un Cielo Cinghiale” parte solo voce e chitarra con gli altri strumenti si inseriscono pian piano e racconta di come ci si sente a essere insoddisfatti del posto in cui si vive; “Tu” punta su un penetrante riff di violino e su un avvolgente groove ritmico, raccontando le insidie della idealizzazione di una persona che non si conosce bene; “Reggae Song” ha effettivamente una ritmica reggae nella strofa e narra di un contesto estivo nel quale si cerca il divertimento nonostante tutto; “Indiani Apache” è probabilmente la canzone più leggera e scorrevole del lotto e una delle poche in cui compare anche una voce femminile, con un testo che è il classico confronto tra i problemi della vita adulta e la spensieratezza dell'infanzia.
C’è sempre uno spiccato dinamismo sonoro, con strumenti che entrano ed escono e originali interazioni tra gli stessi, e anche dal punto di vista vocale la varietà è ampia, anche grazie alla partecipazione di due ospiti femminili importanti come Luisa Pangrazio degli Ovlov e Sara Mazo dei redivivi Scisma.

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