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JAMES TALLEY

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JAMES TALLEY Nashville City Blues É confortante, ogni tanto, scoprire che qualcuno riesce a sfuggire alle regole del mercato o della vita e ad imporre la propria volontà. A James Talley è capitato proprio così e gli ultimi due anni sono stati per lui una vera e propria rivoluzione. Ha fiutato al volo le possibilità di Internet, si è creato una piccola etichetta e ha ottenuto più risultati da solo che in venticinque anni di discografia tra major americane simili a ministeri e etichette indipendenti europee perennemente senza soldi. Gli ottimi riscontri di Woody Guthrie And Songs Of My Oklahoma Home lo hanno spinto ad accelerare i tempi per la pubblicazione di questo Nashville City Blues, registrato già da tempo e originariamente prevista per la fine di quest'anno. Il disco è profondamente diverso da quel piccolo capolavoro che è "Woody Guthrie And Songs Of My Oklahoma Home" e molto più simile ai dischi del passato di James Talley: c'è molto più rock'n'roll (con Jono Manson alla chitarra, tra l'altro), più varietà nelle soluzioni e una selezione di titoli di primissima scelta. Down On The Comer, Don't You Feel Low Down, Rough Edge, Baby Needs Some Good Times, Streamline Flyer, House Right Down The Road, Workin' For Wages offrono sufficienti motivi per accostarsi ad un disco che porta Nashville nel titolo ma che dentro ha tutta la forza di un musicista che, per trovarsi un posto nel mondo (anche solo nella sua città) ha dovuto farsi in quattro. Da prendere ad esempio, anche perché James Talley non rinuncia mai al confronto e mantiene attiva una vena polemica che pochi altri sembrano condividere. Ed ecco il vero Nashville City Blues, direttamente da James Talley in persona: "Oggi, l'industria della musica commerciale, qui a Nashville, si è venduta completamente alle radio, che vuol dire i programmatori radio e i consulenti che lavorano alle ricerche di marketing e dicono alle etichette discografiche cosa la gente vuole sentire. I musicisti non sono musicisti, non hanno mai il controllo della propria musica. Sono soltanto il veicolo per convogliare i messaggi commerciali e a quello oggi servono le canzoni: soltanto per trattenere l'attenzione del pubblico tra uno spot e l'altro. Mi sembra che vada tutto al contrario. All'inizio, musicisti come Bob Wills, o Jimmy Rodgers o Hank Williams erano veri musicisti, avevano uno stile unico che era soltanto loro. Quando la gente dell'industria discografica, i Ralph Peers, i John Hammonds, i Don Laws trovarono questi personaggi, li registrarono, cercando di catturare quella magia unica. Oggi, è esattamente il contrario. Oggi chi deve mandare la musica verso il pubblico detta quello che bisogna suonare. Se i consulenti delle radio non se la sentono, raccomandano di non distribuire certi dischi e generalmente le etichette discografiche ascoltano i loro consigli. É un po' come se il ragazzo che ti porta il giornale la mattina andasse a dire allo staff editoriale cosa ci deve essere scritto. Ora, non voglio dire che l'industria discografia sia necessariamente il male, ma non mi sembra nemmeno la fine del mondo". Sarà anche un loser, ma sfido chiunque a dire che non abbia le idee chiare, chiarissime, fin troppo trasparenti.

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