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Jherek Bischoff

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Jherek Bischoff da Seattle è produttore e arrangiatore (per Evangelista, Xiu Xiu, Parenthetical Girls...), autore di soundtrack per videogames nonché bassista per i Dead Science. Uno insomma che la musica la crea con premesse e obiettivi particolari, approdando ad esiti ampiamente e diversamente pop, casomai pervasi d'immaginario orchestrale cinematografico, di quello che nella cultura USA ha spennellato celluloide fino a diventarne il naturale, immancabile riverbero. Come già accadde sei anni fa, l'uomo si è fatto prendere dal ghiribizzo di confezionare un album di nove tracce, ma diversamente da quell'omonimo esordio le canzoni hanno un titolo e usufruiscono del prezioso contributo di pregiati ospiti. Jherek sceglie l'approccio giusto alla materia, si mette abilmente al servizio di sensibilità diverse e variamente alternative (da David Byrne a Dawn McCarthy passando da Carla Bozulich a Caetano Veloso...) che conduce lungo le sontuose scenografie da lui stesso escogitate. Presenza ad un tempo immanente e impalpabile, ordisce trame dietro le quinte e conduce le danze dal piedistallo del direttore d'orchestra con un gesto solo. L'ambito musicale che ne ottiene è ricco e credibile, coeso ed affascinante, come se il campionario d'inquietudini e suggestioni che emozionava i nostri padri (e i di loro padri) galleggiasse nello stesso torbido calderone degli sperimentatori pop-rock dei decenni successivi. Ci riferiamo certo alla milonga maliarda allestita assieme a Byrne nella sontuosa Eyes, ma più ancora alle vampe languide e alle cupezze in minore di quella Blossom che sfrigola di scorie art-wave grazie anche alla calligrafia chitarristica di Nels Cline, oppure ad una Young And Lovely che incalza a passo di carica Arcade Fire (in un tripudio da brass band paradisiaca) prima d'incantarsi in una fatamorgana jazzy gershwiniana (imprescindibile il contributo vocale di Zac Pennington e della cantante e attrice francese Soko). Altrove ci s'imbatte in un Veloso che si aggira con cauta arguzia tra impressionismi romantici e disarticolazioni sintetiche quasi The Books (The Secret Of The Machines), in una Bozulich che sfoglia petali folk saturi d'apprensione come una Kate Bush fanciulla (Counting), in quella specie di power-pop cameristico - l'anello di congiunzione tra Antony e Alex Chilton? - tratteggiato con stordente leggerezza da Craig Wedren (degli Shudder to Think) in Your Ghost. A chiudere, la ieratica freakeria di Insomnia, Death And The Sea, empito Peter Hammill, tenerezza solenne Joanna Newsom e progressione marziale per l'interpretazione di una quanto mai ineffabile McCarthy (vocalist dei Faun Fables). A stare stretti è un gran bel disco di pop assieme "alto" e "altro", ma allargando un po' la prospettiva potrebbe persino rappresentare un episodio emblematico del sound anni Dieci, in grado di compiersi al massimo della potenza espressiva rielaborando elementi classici senza necessariamente pagare dazio alla post-modernità. Benvenuti nel decennio della neo-tradizione? Staremo a sentire http://jherekbischoff.com/ www.facebook.com/jherekbischoff

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