La voce di Johnny, quando dopo un paio di pezzi (molti dei quali presentati dallo stesso autore nel suo ammirevole italiano come canzoni, termine che da noi rappresenta più Sanremo che un concerto rock) si assestano le regolazioni dell'impianto audio, si stabilizza su un tono graffiante molto corporeo. E sembra proprio che canti con tutto se stesso, muovendo le braccia tese in alto con le mani penzolanti e misurando il palco a grandi passi a metà tra un orso e Groucho Marx. Non è certo improvvisata la scenografia che ci offre l'intero gruppo nel gioco di coppie che come una tarantella tribale accompagna tutto il concerto nonostante il gran caldo. Superata l'aspettativa del blues (personale resistenza causata dall'ignoranza di cui sopra) l'orecchio si lascia trasportare da questi ritmi che non hanno limiti geografici né musicali. L'inevitabile gioco dei paragoni mi porta a cogliere fraseggi di Sting, del Paul Simon di Graceland, perfino di Peter Gabriel, ma poco per volta come se si diradasse l'effetto del fumo di scena tra le luci colorate (emozionanti le luci rosse durante il brano dedicato al compagno ucciso negli scontri in Sud Africa) mi si svela la vera cifra personale di Johnny Clegg: lui si mette in gioco con una onestà professionale che può derivare solo da un totale coinvolgimento emotivo.Il gruppo incalza in un crescendo di musica, cori e danza sempre più trascinanti. Qualcuno del pubblico inizia ad alzarsi e ballare e come per una tacita intesa sul finire del concerto andiamo tutti a ballare sotto il palco dove Johnny e i suoi tornano con due lunghi bis e alla fine, ormai distrutti loro e soddisfatti noi, si allineano tutti e sei sul proscenio salutandoci con due passi da can can. www.johnnyclegg.com