JURASSIC 5 Inutile fare i conti sui nomi numerici, di questi tempi. Come minimo ci si imbatte nei 4 Hero che sono in due o nei Jurassic 5 che sono in sei. Un dj, un sarto sonoro, quattro microfoni al servizio del funky. Le loro rime agili e disincantate, le basi scoppiettanti che ci ricorderanno a lungo l'estate di Pantani, un logo che Jurassic Park se lo scorda, sparato sulla copertina del parsimonioso album d'esordio. Tutto ha contribuito a fare dei Jurassic 5 la cosa nuova più in vista dell'hip hop 1998. Con un filo conduttore che ha attraversato recensioni e commenti dei dj, soprattutto in Europa: ecco i nuovi De La Soul. Niente di più fuorviante. Le differenze sono profonde. Cominciano in ambito geografico, poiché I GIURASSICI arrivano da Los Angeles, non dai dintorni di New York. Fanno onore, dunque, a una scuola underground che combatte da anni la sua resistenza culturale al massacro del gangsta-rap. Con il pallino funk e fumettaro dei Pharcyde, con le rime affilate dei Freestyle Fellowship, con una scena di bombolette e dance che ha eguagliato nel tempo i maestri della East Coast proprio in virtù del braccio di ferro, continuo e silenzioso, con il business a tutti i costi (anche a costo della vita) dei cowboy armati. Da tempo, il team di b boyng più importante della storia dell'hip hop, la celebre Rock Steady Crew, si avvale delle prestazioni ai piatti degli Invisible Scratch Picklez della Bay Area di San Francisco, e tutti concordano sul ruolo decisivo che ha avuto la West Coast nel ritorno in auge della cosiddetta old school. Chissà, magari una risata seppellirà il G-Rap: "Puff Daddy -ironizzava Nu-MARK, dj della crew, nel corso di un tour inglese - non ho mai messo una pistola alle tempie di due milioni di persone per obbligarle a comprare una copia del suo disco. Ecco la differenza: noi potremmo anche tirar fuori le pistole e minacciare tutti, tanto nessuno ci conosce". In materia di suono, poi, la distanza dalla "Daisy Age" è quanto mai evidente. "La nostra merda è funky", ha dichiarata CUT CHEMIST, maestro del taglia e cuci, per rispondere alle accuse di eccessiva compiacenza e scarsa aggressività della crew sia in materia di suoni che nella stesura delle rime. "Se qualcuno mi dice che non suoniamo funky, non credergli. L'hip hop è una conseguenza, non è nient'altro che funky". Un funky melodico, robusto ma pulito, orecchiabile e profondo, che gira con una verve molto più chansonnier e ordinata del frullato di ritmi e rime che riempiva "Three Feets High And Rising". Roba da capelli cotonati e zeppa, flauto di "Jayau" degno dello Stevie Wonder più dance con rimandi al Bob Marley virato soul. Suoni alla "Lesson 6" con lo scratch da pionieri. Subito dopo ecco l'avvio di "Concrete Schoolyard", con un effetto videogioco da periodo Sugarhill. Musica del ghetto, insomma, con un punto di vista differente da quello filo gangster, ma non omologabile nemmeno alla reazione purista dell'hardcore.