Alla luce di più di un ventennio speso a fare la sponda fra l'Europa e l'estremo Oriente, Laurent Jeanneau, il nome che si cela dietro il curioso nick di Kink Gong, ha sviluppato una conoscenza e una capacità di analisi del soundscape asiatico con pochi eguali nella pur folta truppa di cacciatori di eventi sonori sul campo con velleità etno-antropologiche. Il suo lavoro “Xinjiang” del 2011 raccolse più di qualche consenso, grazie a un approccio diverso all'arte del field-recording, più coinvolto, soggettivo, personale, rispetto alla media decisamente più prosaica e “onnisciente” tipica del genere.
“Xinjiang”, che si concentrava su registrazioni carpite in Cina, dove Jeanneau attualmente risiede, fu seguito da una serie di lavori minori, tra cui “Gongs Of Cambodia and Laos”, del 2013, e l'ottimo “Voices”, anch'esso edito da Discrepant. “Gongs”, come da titolo, torna nuovamente sui gong del sud-est asiatico come campo d'analisi, implementando quanto già accennato sull'uscita dello scorso anno. Le registrazioni sul campo, composte da stralci di performance locali, tanto folcloriche quanto di carattere rituale, vengono riprocessate così con l'ausilio del digitale, vivisezionandole e ricomponendole a mo' di collage omogeneo che lambisce in più punti una piacevolezza quasi etno-ambientale.
In primo piano si ascolta quello che è in maniera naturale il focus del lavoro, ovvero i riverberi e l'ampio e suggestivo spettro di armonici dei gong, enfatizzandone gli aspetti più ipnotici del lunghissimo decay, in particolare nella seconda composizione, che dilata il tempo fino quasi a pervenire a uno stadio di trance. Ma l'ascolto è vivacizzato da numerosi altri inserti strumentali tagliuzzati e cut-up vocali inseriti in maniera intelligente nell'ottica di un lavoro che non punta per una volta allo sfizio esotico-documentaristico ma che è anche e soprattutto ambience creativa e comunicativa.