Musicista, attore e compositore. Ascolta jazz da quando è bambino, frequenta dall’infanzia i grandi festival, dove grazie alla fama del padre entra in contatto con grandi artisti come Dizzie Gillespie e Sara Vaughan.
E’ con la pubblicazione del suo primo album alla fine degli anni ’90 che inizia la sua produzione discografica e parallelamente realizza le colonne sonore dei film del padre, come Mystic River, Million Dollar baby, quasi tutte a partire dal 2002. Ha appena pubblicato il suo sesto album “Timepieces”, sintesi di una costante esplorazione, ma anche omaggio al jazz degli anni ’50.
Dopo la pubblicazione nel 1998 del primo album «From There to Here», come leader del gruppo, lavoro fortemente ispirato all'età d'oro del jazz orchestrale degli anni 50, Kyle Eastwood ha speso gran parte degli anni 2000 ampliando i confini del proprio universo e declinando con eleganza e maestrìa la varietà dei suoi gusti musicali in album raffinati ad eclettici al tempo stesso, sperimentando uno dopo l'altro l'electro-jazz calmo e sofisticato (“Paris Blue”), lo smooth jazz dai toni affini a quelli degli anni settanta e decisamente groovy (“Now”), e perfino un manifesto creativo, chic e urban (“Métropolitain”). Forte di questa fervida e consapevole esplorazione delle diverse tendenze della musica pop mondiale contemporanea, il contrabbassista sembra cominciare da un po' di tempo a fare ritorno, tanto nella forma quanto nello spirito, ad un jazz più diretto, lirico e melodico — alla ricerca di una tradizione consolidata e rinnovata al tempo stesso.
La registrazione nel 2011 dell'album “Songs from the Château” è stato l'inzio per Kyle Eastwood di questa nuova fase decisiva della sua carriera. Alla testa di un nuovo quintetto composto da giovani musicisti inglesi, poco conosciuti ma senza dubbio talentuosi e allineati con le sue richieste musicali, il contrabbassista ha posto le basi per una musica melodiosa e ricca di swing, allo stesso tempo semplice nelle forme ed estremamente raffinata nella sua espressione.
Con l'uscita nel 2013 di “The View From Here” con l'etichetta discografica Jazz Village, il contrabbassista, sempre accompagnato dalla stessa formazione, conferma con vivacità questo nuovo orientamento estetico, dando spesso l'impressione di voler riavvicinarsi all'essenza stessa del jazz appropriandosi di alcune delle sue forme originarie ma soprattutto fondando in gran parte il suo discorso, sul piacere del gioco e dell'interazione collettiva. Oggi, in una continuazione indubbia di queste due opere che possono essere considerate “di transizione”, “Timepieces” si dimostra incontestabilmente un passaggio essenziale della discografia di Kyle Eastwood, affermandosi come una sorta di esito di questo vasto movimento introspettivo a livello personale ed estetico, iniziato dal contrabbassista agli inizi stessi della sua vocazione da musicista.
“Quello che ho voluto fare in questo disco, è stato pagare il mio debito al jazz della fine degli anni 50 e degli inizi degli anni 60" spiega Kyle Eastwood "Quel hard bop lirico, pieno di groove e con delle armonie sofisticate suonato dai Jazz Messengers di Art Blakey quando Lee Morgan e Wayne Shorter ne facevano parte, le formazioni di Horace Silver durante la sua collaborazione con la casa discografia Blue Note o i diversi quintetti di Miles David nel corso degli anni 60: questa è la musica che preferisco e che non ha mai smesso di affascinarmi dal momento in cui l'ho scoperta quando ero ancora adolescente... Quello che è stato straordinario all'epoca è che in quel momento tutti i gruppi avevano una firma stilistica immediatamente riconoscibile. Mi sono chiesto da dove provenisse questa particolarità e ho concluso che era principalmente il frutto di un lavoro collettivo portato avanti a lungo termine... È con questo modo di concepire e di fare musica che ho cercato di ricominciare nel nuovo album.”
E difatti, se la musica di questo nuovo disco dà impressione di aver raggiunto un livello di maturità tale, è perché la sua musica non si accontenta di prendere in prestito delle forme del passato in modo superficiale ma riesce costantemente a trovare l'equilibrio tra un riferimento più conosciuto, l'estetica hard bop degli anni 60 (nei suoi legami con il blues, nel groove, nel lavoro sulle potezialità orchestrali del quintetto) e un modo fortemente attuale di “interpretare” questa tradizione. Inoltre, ciascuno dei musicisti coinvolti nel progetto, portano la loro esperienza singolare della storia del jazz e delle musiche popolari costituendo la richezza e la diversità della sonorità mondiale contemporanea (dal pop al rock passando per l'elettronica, e la musica nera in tutte le sue forme).
“Il repertorio è stato realmente concepito ed elaborato collettivamente,”précise Kyle. “Io ho portato la maggior parte del materiale, dei frammenti di melodie, dei giri armonici ma molto spesso la forma finale dei brani si è cristallizzata al momento delle prove attraverso il gioco e l'interazione. La collaborazione con il pianista Andrew McCormack e il trompettista Quentin Collins ha quasi 10 anni adesso. È un lusso poter sviluppare un progetto di così lunga durata. Questo si percepisce ovviamente nella musica che facciamo. Ma se la nostra complicità costituisce il cuore di questo quintetto che ha oggi una vera omogeneità a livello sonoro, il fatto che dei nuovi musicisti si siano integrati al gruppo in questo disco è molto importante. Brandon Allen al sassofono e soprattuto Ernesto Simpson alla batteria, originario di Cuba e che ha portato nel gruppo tutta la sua foga e uno swing latino così particolare, hanno incontestabilmente arricchito la musica di questo album, che si è così aperto a nuovi orizzonti.”
Rivisitando in chiave estremamente coerente qualcuno dei grandi jazz standard degli anni 60 (“Dolphin Dance” di Herbie Hancock e “Blowin’ The Blues Away” di Horace Siver — in un certo senso i due grandi riferimenti estetici dell'album); portando una varietà di composizioni orginali di grande ispirazione artistica e riavvicinandosi con grande maestrìa allo spirito di questa epoca (“Prosecco Smile” e il suo groove tipico del boogaloo; “Incantation” che riprende il lirismo di Wayne Shorter; “Bullet Train” o ancora ”Peace of Silver” dedicato alla memoria di Horace Silver); integrando al repertorio per la prima volta in uno dei suoi dischi “di jazz”, un tema preso in prestito al suo lavoro per il cinema (e all'occorrenza una magnifica ballade estratta da “Letters From Iwo Jima” e rivisitata in duo con McCormack) — Kyle Eastwood firma con “Timepieces” un disco così valido e seducente e senza dubbio anche la sua opera più intima e personale fino ad oggi.