Prendete un romanzo (Noi, Rizzoli 2009) con i piedi ben piantati nel passato e lo sguardo felicemente rivolto verso il futuro che, attraverso gli occhi di quattro ragazzi, segue la storia del nostro Paese dal 1943 (il bombardamento di Roma) al 2025; prendete nove indimenticabili classici della musica popolare italiana e internazionale, di quelli che vivono di linee melodiche che hanno sconfitto il tempo e che continuano a emozionare, ma anche a far pensare e divertire, e aggiungete un inedito - 2025 - (improvvisazione pura, con una melodia minimale sospesa nell'aria a rappresentare un futuro in assenza di atmosfera, che evoca lo spirito dello Stanley Kubric di 2001 Odissea nello spazio); prendete una nuova, coraggiosa e illuminata, etichetta discografica (Alice Records), che fa di qualità, ricerca e innovazione, bussola e sestante per orientare la sua navigazione; aggiungete un direttore artistico sui generis (Walter Veltroni), autore del romanzo in questione e grande appassionato di musica popolare e, infine, affidate il tutto a quattro tra i più grandi nomi del panorama jazz non solo italiano, ma internazionale: Dario Rosciglione (contrabbasso), Roberto Gatto (batteria), Danilo Rea (pianoforte) e Stefano Di Battista (sassofono): mescolate (non agitate) e lasciate decantare. Otterrete Noi, una delle produzioni discografiche più interessanti del 2010: uno di quegli album che dimostrano che la musica ben scritta, ben arrangiata, ben suonata e ben prodotta non teme alcuna crisi, ma – anzi – rappresenta la risposta migliore a qualunque genere di crisi. Nato da un'idea dello stesso Veltroni e di Raffaele Ranucci (fondatore, insieme a Dario Rosciglione e Giorgio Cipressi, di Alice Records) e registrato, in diretta, in due giorni di full immersion creativa presso gli studi Forum di Roma, Noi è uno di quei dischi (purtroppo sempre più rari) che vivono della felice combinazione tra il fil rouge di un'idea tematica guida (che lo rende a suo modo un concept), una selezione particolamente indovinata di brani popolari ma adatti ad essere vestiti di jazz e, naturalmente, la personalità, la creatività, le idee, il suono e il genio di quattro straordinari musicisti. Risultato? Un pool tanto ricco quanto variegato di autori (Bixio, Rota, Karradine, Lennon, Stevens e Sting, solo per ricordare qualche nome), per una tracklist che suona come un particolarissimo e affascinante best of. Una lunga storia in musica nella quale si fondono, con invidiabile equilibrio, generi, linguaggi e stagioni tra loro molto diverse da Parlami d'amore Mariù (1932) a Video Killed The Radio Star (1979: l'unico brano realizzato in trio senza il sax, con qualche “invenzione armonica che migliora il pezzo e lo rende ancora più nobile” – parola di Roberto Gatto); da Una carezza in un pugno (1968) a Don't Stand So Close To Me (1980); da 81/2 (1963; colonna sonora dell'omonimo film, premio Oscar per Fellini, anche se pochi sanno che, in realtà, il brano si chiama “Passerella d'addio”) a Jealous Guy (1971), da Città vuota (1963), a Father And Son (1970) a I'm Easy (1975): Oscar come migliore canzone, nell'indimenticabile Nashville di Robert Altman. Il merito di questa preziosa e raffinata fusione, che riesce a cucire – con intelligenza, gusto e sapienza musicale – il mare del pop al cielo del jazz, regalandoci un album in grado di incontrare cultura, gusti ed esigenze di pubblici molto diversi tra loro, va tutto alla sensibilità, all'espressività, all'invenzione di quattro straordinari musicisti. Quattro visioni, quattro suoni, quattro voci (quattro sono anche i protagonisti del romanzo di Veltroni e le generazioni oggetto del loro narrare) che, senza stravolgere ma rispettando spirito, identità e senso dei brani originali, ne offrono una lettura inedita, personale e affascinante, rivelandone proprietà, qualità e colori sconosciuti. Da segnalare, all'interno di un insieme estremamente godibile e assolutamente privo di ombre od opacità, 81/2 (che Dario Rosciglione considera “particolarmente impegnativo da volgere al jazz, considerati lo stile circense e la natura bandistica dell'originale” e che ha catturato e divertito particolarmente Stefano Di Battista, per il “sorprendente contrasto tra una partenza molto lirica e un finale così libero da risultare quasi free”), Una carezza in un pugno (secondo Rosciglione, “il più impegnativo da rileggere in chiave jazz”, anche perché – concorda Gatto – “è uno di quei pezzi che col jazz hanno poco a che fare” e che, come Città vuota, sono venuti talmente bene all'origine e sono così ben caratterizzati che, quando hai in testa la versione originale, è davvero molto difficile metterci le mani”), Parlami d'amore Mariù (qui in una pregevole versione jazz-waltz) e Jealous Guy, che – sebbene sia, come tutti i brani di Noi del resto, un pezzo esclusivamente strumentale – si presenta, secondo Rosciglione, “con le carte in regola per diventare una vera e propria radio-hit, almeno sulle frequenze e nei programmi che ospitano questo genere di produzioni”. E proprio il brano di John Lennon è il preferito di Danilo Rea. “Spesso – rileva Rea - si pensa che i compositori pop siano fragili, che le loro melodie siano banali e che nell'armonia non ci siano gli accordi giusti. Ma è un errore: più il tema è intellegibile e più comunica e la meravigliosa semplicità della sintesi del brano di Lennon ne è una straordinaria testimonianza”. Si deve a Rosciglione e Rea la stesura del canovaccio armonico dei diversi brani, sul quale ha preso vita l'improvvisazione dei quattro musicisti, in un procedere all'impronta, classico del jazz, con gli arrangiamenti che prendevano forma durante le esecuzioni. Secondo Stefano Di Battista, inizialmente dubbioso (“ho sempre un po' di paura – confessa - ad intervenire all'interno di melodie così belle e così conosciute”), “in studio si è creata quella magia – quel quid che o nasce o non nasce – che ha portato la serenità e l'entusiasmo necessari a liberare la creatività, pur nel rispetto della natura di brani così importanti e significativi”. Una piacevole sorpresa anche per Roberto Gatto - “il gruppo si è praticamente formato per l'occasione e, anche se ci conosciamo bene, non avevamo mai suonato insieme” - per un lavoro che, “sebbene realizzato in tempi strettissimi, direttamente in studio e senza prove, è riuscito a dar vita ad un album particolarmente intenso e ricco di musica.” Di questo, infatti, si tratta: un disco nel quale quattro grandi esploratori del pianeta musica hanno ritrovato brani e autori che avevano accompagnato la loro formazione personale e musicale, per restituire loro parte di quanto a suo tempo ricevuto, aggiungendo la suggestione, l'energia, l'invenzione del loro vivere nella e per la musica e contribuendo a fare di questo Noi un piccolo classico: uno di quei dischi che - parafrasando Calvino - non smettono mai di dire ciò che hanno da dire.