Tutt’altro che pacificati dal successo di critica di The Livelong Day, Ian Lynch, Daragh Lynch, Radie Peat e Cormac MacDiarmada, scelgono di aprire la scaletta con il pezzo perfetto per immergersi nelle atmosfere del disco: Go Dig My Grave è una marcia scurissima di 8 minuti che si apre con la splendida voce di Peat, che intona a cappella il brano – una ballata funebre che affonda le radici nei cosiddetti “floating verses”, originariamente composti come strofe di varie ballate, alcune delle quali risalenti al XVII secolo.Non proprio un biglietto da visita accessibile. Superate le soglie di questo standard (Peat l’ha imparato ascoltandolo in una versione di Jean Ritchie risalente al ’63) che nella lunga coda indossa le vesti di un horror, il mondo di False Lankum è abitato da canzoni tradizionali (10 in tutto) e due inediti composti dalla band che fluiscono l’una dentro l’altra, per un’ora abbondante di melodie dall’aspetto familiare (Clear Away In The Morning, Netta Perseus) che trasfigurano il bucolico in tempesta, quando non direttamente in incubo (la loro scricchiolante versione di Master Crowley’s).