Poco tempo passa dalla funkeggiante introduzione di "Blue Lead Fences" e già sembra di assistere alla riunione notturna di una tribù post-apocalittica, le cui giovani facce mascherate emergono e scompaiono a intermittenza nella luce fiammeggiante in mezzo a una radura del Pacific Northwest. Un senso di cauto - e impavido, allo stesso tempo - stupore di fronte a un mondo che si riscopre, improvvisamente, immacolato pervade "Little Me Will Start A Storm", accendendolo di una caparbia personalità, come se i Loch Lomond incarnassero un Signore delle Mosche contemporaneo, più che una di quelle indefinite comunità neo-hippie impersonate dalla compagine alt-folk statunitense di turno. Si palesa così una freschezza data da una visione creativa potente, che trasforma il disco in un'opera coerente, pur nelle numerose sfaccettature musicali che sa offrire. Un'orgogliosa rivendicazione di autarchia che sopravvive anche ai rimandi più ovvi, ad esempio quello al Neil omonimo ("Egg Song") del leader di questa band di Portland, Ritchie Young, uno dei deus ex machina della scena attuale della città dell'Oregon, attivo non solo come musicista ma come vero e proprio mecenate. Da segnalare il coinvolgimento, suo e del suo gruppo, nel Portland Cello Project e la pubblicazione del disco in questione tramite la concittadina Tender Loving Empire, non solo etichetta discografica, ma anche galleria d'arte e mediateca. I Loch Lomond sono in effetti una sua creatura - il loro primo disco è suonato interamente da Young stesso - ma hanno assunto nel tempo varie forme, tanto che, tra tour e registrazioni, si sono alternati intorno a lui ben ventinove musicisti. Grandi potenzialità venivano già mostrate nel precedente "Paper The Walls", in cui però il gruppo era ancora appigliato a stilemi convenzionali. Qui invece, pur riproponendo gli ingredienti affini ad altre band della zona, dai Decemberists ai più recenti Hey Marseilles, (strumenti acustici, coralità, gusto per la canzone pop), il gruppo si mette in proprio, mostrando una caratteristica già ravvisata in altre band emergenti del panorama folk (Wilderness Of Manitoba su tutte): dolci motivi, anche "umili", se vogliamo, si librano in grandi aperture strumentali, sospese su immensi panorami. Queste ambientazioni richiama il rimbombo che, improvvisamente, espande il dimesso falsetto di Young in "Earth Has Moved Again" (qualcosa di simile avviene anche nei mesmerismi della già citata "Blue Lead Fences"), diffondendosi in un silenzio indisturbato. Progredendo col disco, si comprende che ci si può aspettare di tutto, da una canzone dei Loch Lomond, ma mai che rimanga ferma su posizioni consolidate, come ormai da troppo tempo fanno formazioni anche più conosciute e apprezzate. Parte del merito va certamente assegnato allo stesso Young, finissimo interprete - per quanto poco dotato - che, nel corso di "Little Me Will Start A Storm", cambia registro diverse volte, anche nel corso della stessa canzone (si veda la bellissima ballata à la Sufjan Stevens di "Water In Astoria"), passando da un tremolante falsetto, magari, a un cavernoso baritono post-punk, come nella conclusiva "Alice Left With Stockings And Earrings". Se si aggiunge la produzione, affidata a un team composto da Tucker Martine (Decemberists), Kevin Robinson (Viva Voce) e dal genio nascosto dell'alt-folk Adam Selzer (M Ward), si ottiene un disco dalle robuste e giustificate ambizioni, in cui arrangiamenti tradizionali - di banjo, fiddle, etc. - si sposano magicamente con theremin e altri strumenti meno convenzionali. Un disco davvero mai banale, che dà il suo meglio, forse, nei suoi momenti più fiabeschi, come "Elephants & Little Girls", negli stornelli da menestrello come "Blood Bank" (grande composizione!), con quel riff medievaleggiante che si fa ruspante e chiassoso, come nei Sigur Rós di "Með Suð Í Eyrum Við Spilum Endalaust". Con "Little Me Will Start A Storm" si ha insomma un'ennesima conferma che il fermento di queste "nuove leve" della mondo musicale indipendente americano non è una montatura, ma una vera e propria fucina che attende solo di essere scoperchiata.