Mette le cose in chiaro fin da subito White Horses, coi suoi clangori quasi industrial, l’elettricità frammentata, l’elettronica vorticante e una gragnola noise a sostenere il lirismo a due voci (“There isn’t much past believing/Only a fool would have a faith”). È la stura di una scaletta che non prevede pause, i pezzi si sciolgono uno nell’altro oppure vengono spazzati via dal successivo, alternando impeto androide – la febbrile I Can Wait, l’incendiaria More (“I gave more than what I should’ve lost/I paid more than what it would’ve cost”) – a episodi più distesi ma non per questo meno intensi – il mantra psych trepido di All Night, la letargia abbacinante di Disappearing -, permettendosi visioni cibernetiche di stampo Warp (la supplica ansiogena di Hey, nella cui lunga coda si stemperano droni acrilici e vocalizzi allucinati), minimalismo ambient (la strumentale There’s a Comma After Still) e persino un crescendo post-rock intriso di schizzi eniani e inquetuidine Radiohead (la conclusiva The Price You Pay).