Vivono sospesi su una fune proprio come quel Philippe Petit da cui hanno preso il nome e se ne fregano di andare da un parte o dall'altra. Meglio rimanere lì, indecisi e sognanti, oscillanti tra la malinconia dell'approdo e il fascino della sospensione. Del vedere tutti dall'alto, dell'osservare da una prospettiva altra quel mondo che appare sempre più piccolo e insignificante. Sempre in tensione, ovvio, perché un passo falso e si scivola giù. Di piccolo e insignificante in questo esordio non c'è però praticamente nulla. Ci sono quattro ragazzi italiani, friulani ad esser precisi, con delle storie alle spalle anche significative – Stefano Pasutto (Tre Allegri Ragazzi Morti), Nicolò Fortuni (Smart Cops, With Love), Cristiana Basso Moro (Ten Thousand Bees, Arnoux), Marco Pilia (Oliver) – che lasciano da parte, agli estremi della fune, ruvidezze, dilatazioni e velocità delle esperienze pregresse e imbastiscono un disco che è un tenero gioiellino di pop che nel passato millennio si sarebbe detto indie. Roba che come da titolo guarda all'ovest americano, intrisa com'è di suggestioni e rimandi, musicali ma anche atmosferici, agli States e che rimane sempre in bilico tra sonorità indie e malinconie folkish, slackerness primi 90s (Pavement et similia, ma anche certi Pixies meno diretti) e umbratile coralità 00s (certi slanci Arcade Fire come in Potential Architects), dimensione sognante ed evocativa (gli spazi aperti del west americano, desertici e infiniti) e poetica applicazione. Nulla di completamente stordente o innovativo, ma un concentrato di raffinate e perfette pop songs con più di un episodio – l'epica leggiadra di Bare-Footed, il rock uggioso di The Anger Song, la leggera mestizia quasi folk di Autumn – a farsi ricordare. Si era partiti con i Man On Wire sospesi sulle funi e ci si ritrova sospesi su una nuvoletta ad ascoltare e riascoltare un piccolo gioiello made in Friùl. (7.0/10) www.manonwire.it www.facebook.com/weare.manonwire