Il percorso dei Manchester Orchestra si arricchisce di un ulteriore disco in studio, il terzo del gruppo, ancora una volta sotto etichetta Gentlemen. La band, composta da instancabili stacanovisti del suono quali sono, considerato i numerosi side-project cui si prodigano nel mentre, non rinuncia ancora una volta a mostrare il loro sound più tipico, dando alle stampe un pastiche di rock, nel vero senso della parola, senza fronzoli. Distanziandosi davvero di poco rispetto ai precedenti due lavori sembrano spostare qui maggiormente l' attenzione sul cantato, mettendolo in primo piano e molte volte preferendolo addirittura ad una delle tante sfuriate cui loro ci hanno abituato. La musica comunque sembra qui essere arrivata ad un successivo step: particolarmente condivisibile la scelta di dare all' orchestra ancora più importanza e parti da interpretare. I restanti ritmi sono invece suonati dalla consueta line-up con la stesso feeling e la verve che li contraddistingue dal primo all' ultimo brano di ogni loro album. Diretti, sintetici ( escludendo l' outro) e chiari: in particolare il suono roboante di Mean Everything To Nothing lascia spazio alle liriche, mai così adulte, mentre la qualità della registrazione ancora una volta è limpida e chiara. Le idee qui ribadite inevitabilmente si spostano su territori che non sempre sono il rock teenageriale quale loro sono soliti suonare, ma strabordano a volte in campi come il folk e l' indie/rock, quest' ultimo da rivedere, analizzare ed applicare al meglio in futuro, considerando che in un brano in particolare si rischia la citazione in tribunale per plagio. Per il resto, questo Simple Math si dimostra un gradevole concept album incentrato - come potete intuire dalle parole del frontman Hull in apertura - sulle difficoltà di dialogo o di comprensione e il complicarsi successivo di legami perlopiù riguardanti l' amore, di travagli di mezza età, di battibecchi continui con la moglie o con Dio. Si parte con il folk/rock di Deer, pezzo che sembra possedere anche influenze dal gospel, dal mood straziato e perso nelle chiacchiere interiori di cui parlavamo prima; per quanto riguarda la musica, siamo in zona Low Anthem oppure vicini ai Band of Horses di Cease To Begin. Mighty porta con sè le sonorità usuali, quel misto di Pearl Jam e orchestrazioni comprendenti in particolare violini, rendendo i tre minuti lungo cui si protende piacevoli. Da scartare in toto invece è Pensacola, riproposizione dei sing along tipici di Wombats, troppo identica per non essere notata e disprezzata. April Fool rispolvera metriche hard-rock ( Placebo meet Black Sabbath?) alquanto dissonanti nel contesto in questione, mentre con Pale Black Eye si riprende quota grazie ad un alternative rock adatto a tutte le generazioni. Il timbro particolare di Hull, forte ed al tempo stesso intonato, si svela in Virgin, forse troppo americana per quanto pompata e tirata a lucido ( scontati i cori dei bambini), ma pur sempre ottima nel lancio del ritornello e nella grinta profusa. Con la title-track ci si avvicina al pop, tenendo conto della melodia cullata e tradizionalista, apri pista ad un testo molto bello, emblema dei temi toccati in Simple Math ed ottimamente coadiuvato da orchestrazioni che disegnano praterie o comunque ampi spazi sonori, su cui liberare grida di liberazione/disperazione. In successione l' album si chiude con un' impalpabile Leave it Alone, una Apprehension che ricorda molto nella voce ancora una volta Molko e Weezer nella melodia e a Leaky Breaks, chiusura di sette minuti che cerca di emulare e riprodurre su piccola scala temi assomiglianti al post-rock uniti a cori soffocati per certi versi tipici dell' indie, senza alcun successo. Un ritorno che non toglie e nè aggiunge nulla a ciò che in precedenza era stato fatto. Certo, gli anni passano per tutti, e il fatto che loro in questo Simple Math sfoggino un suono più adulto e senza troppe idee variegate ma addirittura con un concetto di base mi sembra una naturale conseguenza di ciò. In sostanza il full-lenght in questione convince, ma la riproposizione sempre di suoni già pienamente assimilati fà sì che i Déjà vu abbondino. Unica vera nota di merito, come già detto, sono le parti orchestrali ben inserite all' interno di tracce da tre-quattro minuti. http://themanchesterorchestra.com