La stessa title-track, nei suoi dieci minuti e rotti raramente accelera ed il pezzo viene salvato soprattutto dall’estro dimostrato dalla chitarra, in grado di cesellare melodie suadenti, nonché dal bravo batterista che fa di tutto per rendere più dinamico un pezzo tutto sommato poco appetibile. Lo stesso discorso potrebbe ripetersi per altri brani come “In The Wake” o “Never Again” che sembrano voler recuperare forse un po’ di psichedelica degli esordi (fine anni ’70). Sempre sognante ed eterea è anche “The Other Side” ma, al contrario dei pezzi citati precedentemente, risulta più accessibile ed evolve in un cadenzato di buon livello.
Tutt’altro discorso vale ad esempio per la potentissima “Conqueror”, tre minuti e rotti di metallone cadenzato in cui assoli di chitarra e linea possente di basso si sovrappongono in continuazione trasmettendo energia epica. Alla stessa “famiglia” appartengono altre tracce che risollevano le sorti dell’album; cito ad esempio l’ottima cavalcata “The Arena”, che narra delle gesta violente dei gladiatori; la ritmica incalzante regna sovrana ed il batterista Andreas Neuderth regna sovrano dettando cambi di tempo ed atmosfere, ben supportato dal bassista.
Il lato epic doom degli statunitensi è garantito dalle discrete “Castle Of The Devil” e “The Talisman”, ma soprattutto dalla convincente “Ghost Warriors”.
Grazie alla conclusiva “Blood Island” torniamo al metal più arrembante e l’apertura dettata dalla chitarra solista di Mark ha un sapore antico; il pezzo si rivela il sigillo ideale per chiudere nel migliore dei modi un album con alti e bassi che comunque verrà decisamente apprezzato dai fan del gruppo ed in genere dell’epic metal più arcigno.